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Con L'Osi al Lac, nella Boemia di Cecco Beppe

Confidando in musica contemporanea e prime esecuzioni, interpretazione eccellente e piacere della riscoperta del tante, troppe volte ascoltato Smetana

Giovedì 26 settembre: a sinistra Nicolas Altstaedt, a destra Krzystof Urbanski
(Osi/F. Fratoni)
27 settembre 2024
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Il direttore polacco Krzystof Urbanski, tornato a dirigere l’Orchestra della Svizzera italiana, ha aperto il programma di giovedì scorso al Lac con la deliziosa Piccola Suite di Witold Lutoslawski (1913-1994), che impiega temi folcloristici della regione di Cracovia. Composta di quattro parti, in una decina di minuti riesce a evocare quattro tempi di una sinfonia ottocentesca, forse anche le elucubrazioni del mistico Anton Bruckner. Fu composta nel 1950 e sedusse certo il pubblico non ancora avvezzo agli ascolti impervi della musica atonale. Richiede un’orchestra completa con otto legni, undici ottoni, una percussione contenuta. I trentatré archi schierati dalla nostra Orchestra sono sembrati necessari e sufficienti e l’esecuzione è stata eccellente.

Poi il programma è retrocesso nel tempo e si è spostato un po’ a ovest, a Policka nella Cechia attuale, dove è nato Bohuslav Martinu (1890-1959), il compositore errante del quale è stato eseguito il Concerto per violoncello e orchestra n. 1 del 1930, solista il violoncellista Nicolas Altstaedt. È retrocesso ancora di mezzo secolo, e salito nel luogo Praga, con tre poemi sinfonici della celebre Ma Vlast (1874-79) di Bedrich Smetana: Vysehrad, Vitava e Sarka.

Non riesco ad ascoltare queste musiche senza collocarle nel contesto storico che Stefan Zweig ha chiamato il mondo di ieri, popolato da figure tanto ieratiche quanto anacronistiche come l’imperatore Francesco Giuseppe, che il popolo chiamava Cecco Beppe. Oppure nella prima guerra mondiale dove l’umorismo di Jaroslav Hasek colloca l’anabasi tra Budejovice e Praga del buon soldato Sc’veik.

Mi è parso di scorgere anche questa consapevolezza storica nella direzione di Urbanski, che mai lascia traccia di gesti autoritari, cura piuttosto un costante dialogo da primus inter pares, un tranquillo rivolgersi a sinistra a destra, al centro dell’orchestra con gesti ampi, evocatori, palesi anche al pubblico. Ho provato per la musica di Martinu, ascoltata per la prima volta dal vivo, il piacere della scoperta; per la musica di Smetana, tante (troppe?) volte riascoltata, un ugual piacere della riscoperta.

Sala del Lac completa o quasi, ascoltatori soddisfatti: tutto a posto così? Certamente no! Fare cultura significa anche affrontare cose nuove, non crogiolarsi nelle cose note. Che succederebbe se la nostra Orchestra ricominciasse a proporci musica contemporanea, prime esecuzioni, magari frutto di proprie commissioni?

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