Le emozioni di ‘April’, Dea Kulumbegashvili (quella di ‘Beginning’), la tensione in ‘Mò shì lù’ di Siew Hua Yeo, la poca novità dell'italiano ‘Iddu’
Altri tre film in una competizione agli sgoccioli. Oggi si svelerà un palmarès mai così incerto e giustamente, visto che conosciamo l’amore viscerale per il cinema e il teatro della Signora Huppert, Presidente di Giuria di questa 81esima Mostra d’Arte Cinematografica. E se si prendessero alla lettera le parole – Arte Cinematografica – di sicuro il Leone d’Oro non dovrebbe essere negato al film ‘Ap'rili’ (Aprile), opera seconda della regista georgiana Dea Kulumbegashvili. Questo perché la 36enne laureata in cinema alla Columbia University di New York, per la sua opera prima ‘Beginning’ (2020) – che doveva essere a Cannes ma era piena pandemia – a San Sebastián ha vinto tutti i premi principali: Miglior film, regista, attrice e sceneggiatura.
Questo ‘April’, titolo internazionale, è segnato da un rigore narrativo formalmente perfetto, da una guida di attrici e attori magistrale e da una fotografia, di Arseni Khachaturan, che è meraviglia: basti pensare a un minuto su un campo di papaveri che giocano col vento e, ancor di più, un potente temporale in arrivo; gli interni poi sono quadri preziosi con dei colori che regalano il tempo e il calore intimo della vita. Ma ancor più pregnante è il dettato di Dea Kulumbegashvili che ci immerge in un mondo femminile senza tempo e profondo, quello della maternità. Protagonista è Nina (una splendida Ia Sukhitashvili), un'ostetrica della Georgia rurale che lavora in pubblico in ospedale e in privato aiutando le pazienti che chiedono l'aborto nonostante il divieto legale. Si trova a difendere i suoi valori e le sue azioni quando viene accusata di negligenza e sottoposta a un'indagine dopo la morte di un neonato durante il parto. Anche se l’indagine la scagiona (non poteva fare niente per salvarlo), resta la condanna dei parenti del neonato, da cui l'inizio di un controllo sulla sua attività esterna, che lei non nega, e di cui ognuno in cuor suo capisce la necessità. Nina cerca diffondere l’uso della pillola, aiuta ad abortire fanciulle che sarebbero massacrate dalla famiglia se scoperte incinte, aiuta donne stanche di partorire; intorno a lei c’è un mondo femminile che deve fare i conti con la violenza e il possesso del mondo maschile. Ma c’è un fatto che le dà forza ancora: una notte di violenta tempesta, la sua auto si impantana nella campagna proprio mentre deve correre in ospedale per aiutare una partoriente; chiede aiuto in un casolare e viene accolta dalla famiglia del neonato morto. L'aiutano ad asciugare i vestiti, le danno da mangiare e l’uomo, guardando gli altri suoi figli seduti intorno, la presenta: “Lei è quella che vi ha fatto nascere”. Poi, cessato il temporale, l’aiuta a ripartire. Film di grandi emozioni, film che sorprende e regala cinema.
‘Mò shì lù’ (Stranger Eyes) di Siew Hua Yeo
Da Singapore arriva invece ‘Mò shì lù’ (Stranger Eyes) di Siew Hua Yeo, il regista di ‘Huàn tǔ’ (A Land Imagined, 2018), Pardo d'oro al Festival di Locarno. Come spiega Siew Hua Yeo: “In un piccolo stato insulare come Singapore, dove non c’è via d’uscita dalla rete di sorveglianza, osservare ed essere osservati diventa un rituale quotidiano. Con un’elevata densità di popolazione e una sorveglianza pervasiva, il moderno paesaggio urbano ci trasforma in testimoni involontari delle vite degli altri, con tutte le conseguenze del caso”. E il film è basato su questa situazione, che travolge la vita di una giovane coppia in disfacimento, cui viene rapita la propria bambina. Siamo dalle parti di Hitchcock e del suo ‘La finestra sul cortile’: anche qui qualcuno osserva ciò che succede nella casa degli sposi dalla sua finestra, trovandosi al centro dei sospetti per il rapimento, anche perché per qualcuno ha sempre seguito lo sposo al lavoro, mentre tradiva la moglie, con la bambina, raccogliendo una impressionante traccia della sua vita. Un film teso, dove il dominio dell’immagine diventa il reale controllo di ogni individuo, una perdita di libertà che impaurisce, in nome di una sicurezza che porta il mondo dalle parti di Fahrenheit 451. Finirà con l’impossibilità di comunicare, con la solitudine dei protagonisti. Applausi meritati. Tra gli interpreti, Lee Kang-sheng, l'attore feticcio di Tsai Ming-liang, è l’uomo che guarda dalla finestra; Wu Chien-ho è lo sposo fedifrago e Anicca Panna la sposa.
G. Parlato
Toni Servillo in ‘Iddu’
Terzo film in Concorso è l’italiano ‘Iddu’ di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, un film che non convince per la mancanza di novità del soggetto, la solita Sicilia mafiosa con un politico scafato e sfortunato che dopo anni esce di carcere trovando la famiglia in miseria, e che cercando di recuperare credito finisce col tradire il boss più ricercato dell’isola. Inutilmente, perché politica e forze dell’ordine hanno bisogno di lui libero. Toni Servillo nel ruolo dello sfortunato sembra annoiarsi come il pubblico, inutile cercare emozioni e novità sul rapporto mafia-politica-chiesa, tutto scivola sull’ovvietà e la banalità della regia certo non aiuta. Peccato. E nel temporale, la notte è dedicata a Qing Chun: ‘Gui’ (Youth: Homecoming), terza parte della grande opera sui giovani nella Cina moderna firmata dal grande Bing Wang. La seconda l’abbiamo vista a Locarno, la prima a Cannes, un vero pellegrinaggio in nome del Cinema.