laR+ Venezia 81

Almodóvar: ‘Un film in inglese, una nuova vita’

Il regista spagnolo ritrae l'amicizia femminile tra donne non giovani in ‘The Room Next Door’, presentato ai giornalisti riuniti al Lido

Pedro Almodóvar
(Keystone)
2 settembre 2024
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“Fare un film completamente in inglese è stato come cominciare una nuova vita”. Spiega Pedro Almodóvar ai giornalisti riuniti al Lido nel giorno del suo The Room Next Door, in Concorso a Venezia 81. Storia di due amiche, Ingrid e Martha (significativamente due narratrici: una scrittrice e una reporter), che si riavvicinano per la malattia terminale di Martha e iniziano una complessa danza di avvicinamento e allontanamento, affermazione e negazione, desiderio e paura della morte, ‘The Room Next Door’ mostra fin dalle prime inquadrature la fascinazione del maestro del cinema spagnolo per un idioma cinematograficamente a lui nuovo: è un film tutto verbale, qualcuno dirà verboso, nella prima parte a tratti impersonale come un dialogo platonico sulla morte individuale e su quella del pianeta, sul dolore, sull'amicizia, sul sesso. Un film nel quale nulla resta inspiegato, non c‘è azione o sentimento che non venga espresso, commentato, ruminato dalle due protagoniste. “Scrivere per affrontare la paura della morte” è del resto la prima battuta del film, e c’è il sospetto che quando parla di nuovo inizio Almodóvar si riferisca anche a questo, al potere taumaturgico del linguaggio. Non a caso il film parte dal romanzo immaginario di Ingrid, ‘Sulla morte improvvisa’, e di sequenza in sequenza compila una sorta di catalogo di citazioni e ammiccamenti ai grandi autori che nel corpo a corpo con la morte di ogni artista si sono spinti più in là: Joyce, Sontag, Faulkner, Hemingway. “Io l'idea che qualcosa di vivo debba morire non la riesco ad accettare” fa dire Almodóvar come un ventriloquo a Ingrid nel film, e ripete poi qui in sala stampa “sono forse infantile, immaturo, anche perché poi la morte è dappertutto, nelle guerre che ci circondano”.

“Non ho paura della morte e non l'ho mai avuta” spiega Tilda Swinton con la consueta vivacità oltremondana. “Il film parla di una donna che decide di vivere o morire a modo suo; non che voglia morire, ma è comunque un trionfo per lei. Penso al film anche come a una storia d’amore tra Ingrid e Martha – quell’amicizia essenziale che in fondo è amore”. Ed è in buona parte grazie all'alchimia tra le due dive che lo interpretano, Swinton e Julianne Moore, che ‘The Room Next Door’ riesce per così dire a uscire dalla pagina, a funzionare come esperienza estetica e catartica nonostante il groviglio di parole che potrebbe soffocarlo.

“Nei film di Almodóvar senti il battito del tuo cuore, cosa significa essere umani e avere un corpo. È fenomenale la lente attraverso cui Pedro ritrae l'amicizia femminile tra donne non giovani, così poco rappresentata nei film, e la vera profondità della loro relazione. L'importanza di questo si riflette nel mio rapporto con Tilda Swinton: siamo molto vicine, anche nelle cose più banali”.

‘The Room Next Door’ se vogliamo è il risultato di una serie di adattamenti, di transizioni: quella dal romanzo da cui è tratto, ‘Attraverso la vita’ di Sigrid Nunez, quella dallo spagnolo nativo all'inglese cinematografico, quelle dalla vita alla morte, e dalla morte alla rinascita.

“Non è stato difficile passare all'inglese, grazie a Julianne e Tilda che hanno capito subito come volevo raccontare questa storia. La cosa più difficile è stata l'adattamento di un romanzo fondamentalmente inadattabile, ma poi ho pensato che i film era capitolo in cui il personaggio di Julianne va a trovare quello di Tilda. È una generazione che amo (le due protagoniste sono state giovani nella New York degli anni Ottanta, dove “tutte le cose importanti succedevano di notte”) e so bene come trattare due signore di quel periodo”.

Il film è sorretto anche da una punteggiatura politica: la guerra nel Vietnam, il riscaldamento globale, la morte collettiva che cambia forma ma accompagna le generazioni. E politico è anche uno degli intenti di fondo di Almodóvar: “Questo è un film a favore dell'eutanasia. In Spagna abbiamo una legge, in tutto il mondo dovrebbe essercene una. Ognuno dovrebbe essere padrone del proprio destino, e i dottori di aiutarlo”.

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