Il film di Richard Linklater racconta una storia inverosimile, ai limiti del fantastico, al servizio di un’idea tossica e velatamente misogina
‘Hit Man’ è un film che prova a giustificare una conclusione assurda partendo da premesse ancora più assurde. Gary è professore di filosofia che nel tempo libero, ehm, lavora con la polizia di New Orleans in un’unità che incastra persone interessate ad assumere un killer a pagamento – non è solo un’idea francamente ridicola ma è anche incredibilmente contorta. Gary è interpretato da Glenn Powell, ovvero uno degli attori del momento, protagonista anche di ‘Twisters’, ed è la caricatura del professore impacciato e ininteressante, anche se ovviamente sotto le polo sformate ha una corazza di muscoli (non lo vediamo mai andare in palestra). Un giorno deve sostituire l’agente che interpreta il finto killer a pagamento e che, registrando le richieste esplicite dei clienti, li incastra. Va da sé che Gary è bravissimo e ci prende gusto. Alla fine il personaggio del killer prende il sopravvento sul personaggio Gary, che inizia a presentarsi a lezione con giubbotti di pelle aderenti spingendo le sue alunne a chiedersi se fosse stato sempre così sexy. In un certo senso ‘Hit Man’ è un film su quanto sia facile diventare affascinanti, misteriosi e desiderabili.
Come sia venuta in mente un’idea del genere a Richard Linklater, che oltre ad averlo diretto lo ha anche scritto insieme a Glenn Powell, è difficile capirlo. Non si salvano, il film e Linklater, con il tentativo di farne una riflessione sull’identità e, come sempre, sui rapporti d’amore. Perché Gary a un certo punto non solo ci prova gusto a fingere di essere qualcun altro, fino a capire di essere, in realtà, qualcun altro rispetto a quello che pensava, ma si innamora di una possibile cliente. Madison, anche lei bellissima (Adria Arjona) a dispetto di una vita da casalinga sfigata, cerca un killer per far fuori il marito possessivo e violento, Gary riesce a non farla arrestare e comincia a uscirci. O meglio, a non uscirci, per evitare che la sua identità segreta venga svelata. E finché restano in camera da letto va tutto a meraviglia. Fino a qui Linklater ha girato una commedia degli equivoci piuttosto classica: di chi si è innamorata Madison e quanto a lungo riuscirà Gary a portare avanti la sua truffa tutto sommato innocua; quanto sarà disposto a cambiare Gary per amore?
Una storia inverosimile, un messaggio banale
Che innamorarsi significhi perdere la propria identità, mettersi in gioco del tutto, tuffarsi nell’ignoto eccetera eccetera, è anche bello e a un certo punto ‘Hit Man’ sembra parlare di questo. Ma solo per pochi minuti. La trasformazione di Gary e Madison (senza svelare niente del resto della trama) porta rapidamente il film in una direzione diversa. Se già era infantile il modo in cui Linklater ha preso alla lettera il principio sociologico secondo cui siamo tutti attori sociali, che ognuno di noi recita una parte, fino ad arrivare a dirci che cambiando il nostro comportamento esterno – vestiti, abitudini, postura, modo di parlare, come fa Gary – cambia anche la nostra personalità, nella seconda parte del film sembra confondere del tutto i piani. Una cosa è discutere della difficoltà di distinguere tra bene e male, un’altra è non saper distinguere tra bene e male. Una cosa è parlare di Nietzsche, un’altra andarsene in giro ad abbracciare cavalli. In un’intervista al New York Times, tra il serio e il faceto, Linklater ha detto che “probabilmente ciascuno di noi vuole qualcuno morto”. Ma dietro la pretesa di aver girato un film filosofico, Linklater ha semplicemente ribadito il vecchio stereotipo dell’uomo duro, d’azione, pronto a tutto. Un uomo vero e seducente, quello che fa impazzire le donne.
Il tocco magico di Linklater (nella trilogia ‘Before’ e ancora di più in ‘Boyhood’) consisteva nel dare un senso di straordinarietà a momenti quotidiani. Stavolta ha fatto il contrario, ha raccontato una storia inverosimile, ai limiti del fantastico, per passare un messaggio banale. Liberate il killer che c’è in voi, non fate i moralisti! Un’idea tossica, velatamente misogina se sulla via della perdizione è sempre Eva che porta Adamo.