Un film ben girato quello di Klaudia Reynicke, raccontato con brio. Il quadro di un mondo che vuole dare un futuro ai propri figli
Non è un caso il cammino che questo “Reinas” ha compiuto in questo 2024 in un crescendo rossiniano, dal successo della presentazione al Sundance, e da quelle montagne che contornano Park City in Utah, al veloce e trionfante viaggio alla Berlinale dove nella sezione Generation Kplus si è aggiudicato il premio come miglior film, e finalmente ieri sera in Piazza Grande a Locarno, nel Festival che la quarantottenne regista svizzero peruviana Klaudia Reynicke-Candeloro riconosce come il luogo dove negli anni in cui l’ha frequentato, dopo aver lasciato il Perù, si è formata la sua idea cinematografica. Un Festival come scuola, ne sarebbero contenti anche i colleghi dei Cahiers du cinéma, e questo dimostra l’amore che la regista porta verso quella che un tempo chiamavano la Settima Arte.
Il suo ricordare il tempo in cui dovette migrare, ci porta nell'estate del 1992, in una Lima che stava pagando un tragico autogolpe, battezzato dai peruviani “Fujigolpe” o “Fujimorazo”, per spiegare il folle gesto che l'allora presidente Alberto Fujimori compì con l’aiuto dei vertici militari il 5 aprile 1992 a causa della crisi economica interna allo stato. Ecco allora vediamo i nostri protagonisti, una famiglia della buona borghesia e alcuni parenti, alle prese con il coprifuoco e la caccia ai terroristi, ovvero chiunque cercasse di ribellarsi alla criminalità presidenziale. Nel mezzo del caos sociale e politico, le giovanissime Lucia (la bambina Abril Gjurinovic) e Aurora (una intensa Luana Vega) e la loro madre Elena (una brava Jimena Lindo) si preparano a emigrare negli Stati Uniti. Per partire hanno bisogno dell’assenso scritto di Carlos (un convincente Gonzalo Molina), il padre ed ex marito che è quasi scomparso dalle loro vite. L’uomo ha cercato di vivere la sua vita, racconta di essere stato ferito da un coccodrillo, di essere un agente segreto, si inventa con tutti storie incredibili, in realtà gli ha semplicemente fatto comodo non fare il genitore.
L’idea però di perdere le sue figlie per sempre lo porta a riavvicinarsi alla famiglia, tra lo sconcerto dei familiari e della stessa Elena che scopre in lui un altro uomo. Succede nel frattempo che Aurora si creda incinta e per questo si oppone al piano della madre, scatenando una situazione che si intreccia con quella politica che solo la ritrovata e momentanea intesa tra Elena e Carlos risolve. E Carlos firma per il bene di una famiglia che non ha saputo amare in tempo.
Il film è ben girato e raccontato con brio. La fotografia di Diego Romero Suarez Llanos colora bene il tempo passato. Resta il quadro di un mondo che migra per migliorare la sua vita, per dare un futuro ai figli. Non è la stessa disperante migrazione dei popoli che superano mari e frontiere per fuggire alla guerra e alle carestie e ai cambiamenti climatici. I giovani migranti interni dell’Europa di oggi ci raccontano la stessa storia: la ricerca della felicità, coscienti che costa un peso insopportabile. A Berlino ragazze e ragazzi hanno discusso del film anche per parlare del peso che hanno le ragazze quando restano incinte e di quello che hanno le madri abbandonate dall’uomo che insieme a loro ha fatto i figli. È un film denso, questo ‘Reinas’ da vedere e far vedere.