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Un jazz club della musica barocca

Le Settimane musicali di Ascona si chiudono, domani, con un concerto con la mezzosoprano Lea Desandre e l’Ensemble Jupiter

7 ottobre 2024
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Ha una carriera radicata nel Barocco, quando dopo aver studiato da bambina danza classica ha scoperto il canto, diventando una degli interpreti di riferimento con quel suo colore impagabile, un mix di dolcezza e dinamismo. Poi, col tempo, la mezzosoprano parigina Lea Desandre (artista dell’anno per Opus Klassik 2022) ha saggiato altri lidi, con una maestria che l’ha fatta diventare una delle voci più intriganti del momento, anche in altri ambiti come Mozart (Nozze di Figaro), il ruolo tragico di una Medée di Charpentier, ma persino quello più leggero di un omaggio a Julie Andrews. Logico correre ad ascoltarla per il gran finale della 79ª edizione delle Settimane musicali di Ascona domani, martedì 8 ottobre, alle 19.30 in un esaltante monogramma haendeliano che riproduce in parte una fortunata registrazione (‘Eternal Heaven’, album del 2022 pubblicato da Warner Classics) realizzata assieme all’Ensemble Jupiter diretto dal liutista Thomas Dunford: una celestiale incursione fra arie, duetti e pezzi strumentali dei suoi grandi oratori, già definita “un’eccitante West Side Story in chiave barocca”.

Lea Desandre, gli oratori di Händel sono spesso scanditi da storie d’amore tra famiglie rivali, ma ci sono altri elementi che giustificano il richiamo al musical di Bernstein?

La selezione dei brani di ‘Eternal Heaven’ è stata calibrata tenendo conto che con me nel cast per il disco c’era anche il controtenore Iestyn Davies. L’album è un invito a un viaggio d’amore nei suoi momenti più teneri e più tempestosi. Il programma ad Ascona si configura invece come il viaggio di una donna in cerca di amore e spiritualità.

Che tipo di vocalità caratterizza queste melodie haendeliane?

Händel è un compositore meraviglioso per la voce. Unisce agilità e linea in un equilibrio perfetto tra piacere di cantare, pienezza e controllo. Controllo che procede attraverso il tecnicismo di certi brani come ‘No, no, I’ll take no less’, sorta di viaggio iniziatico, doloroso all’inizio e gioioso alla fine.

C’è una pagina tra questi oratori (‘Il Trionfo del Tempo e del Disinganno’, ‘Theodora’, ‘Semele’) che ti piace particolarmente?

Direi i pezzi più vertiginosi, malinconici e spirituali come ‘Will the sun forget to streak’ e ‘Guardian Angels’. Brani che mi collegano alla sfera più grande, al divino, dove si parla di angeli custodi, di protezioni, di vita e degli elementi. Mi sento piena di luce e di amore, mentre li canto.

Qual è il tuo rapporto con l’Ensemble Jupiter e con quella spontaneità che qualcuno ha definito “un jazz club della musica barocca”?

Va tutto magnificamente e abbiamo tanti progetti insieme, vari quanto i talenti che ci sono nel gruppo. Questo inverno abbiamo creato un programma incentrato sul mio idolo d’infanzia: Julie Andrews e abbiamo appena registrato il nostro prossimo album. Ci incontriamo regolarmente e sono sempre momenti di piacere, di condivisione e di lavoro. In sei anni, abbiamo già creato una decina di progetti e ce ne sono ancora molti altri in arrivo, cosa che mi riempie di gioia.

Quanto influenza l’improvvisazione le scelte interpretative? Penso anche al ruolo di Thomas Dunford, un Eric Clapton del liuto…

L’improvvisazione è al centro dell’arte di Thomas. È il musicista più ispirato e stimolante che conosca. La sua spontaneità e la sua capacità di ascolto collettivo ci offrono momenti meravigliosi come al recente Festival di Salisburgo, dove ci siamo uniti nella gioia di ascoltarci, risponderci a vicenda e persino assumere rischi: tutto questo rafforza l’unità del nostro gruppo.

Il Barocco secondo i principi dell’interpretazione “storicamente informata” (impostazione vocale corretta, timbri graffianti e perfino ruvidi, ritmi impetuosi e concitati) ha tutto per appassionare le giovani generazioni. È legittimo parlare di “musica ba-rock”?

Da sempre, gli esseri umani e i musicisti si ispirano a vicenda. Ad esempio, in un duo pop degli anni 60 e 80 come i Carpenters si possono trovare indirettamente influenze di un musicista del Seicento come John Dowland. Bisogna lasciare che la musica circoli, offrirle la possibilità di essere condivisa, di esistere e di bussare alla porta di chi desidera accoglierla in quel momento.

La tua impronta musicale è stata fortemente influenzata dal Barocco italiano, avendo studiato per due anni a Venezia con Sara Mingardo. Che ricordi hai di questo periodo?

Meravigliosi. Sara è l’insegnante che vorrei che tutti trovassero, un’artista e una persona ammirevole. Mi ha dato fiducia, insegnandomi a essere indipendente, ascoltando il mio strumento e l’orchestra, a essere curiosa e a restare fedele a me stessa. Le sono infinitamente grata.

Prima di allora, hai studiato seriamente per anni danza classica, con l’idea di diventare una ballerina. Quanto è stato importante nella tua formazione?

È stata uno strumento per apprendere la disciplina, il rigore, ma anche il senso, la fatica e la ripetizione nel lavoro. Grazie alla danza ho imparato a conoscere il mio corpo, lo spazio, la precisione delle distanze e a sentire l’inesprimibile, un elemento importante anche nella musica. Strumenti innegabilmente preziosi, ora che sono una cantante d’opera.

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