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Io sono Tom Walker

‘I Am’ è il nuovo album, una parte del quale si ascolterà il 12 luglio a Estival. Oltre a ‘Leave a Light On’ naturalmente, punto di svolta della carriera

Thomas Alexander Walker, stella della seconda serata di Estival
(Keystone)
8 luglio 2024
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Scozzese più per note biografiche che per vissuto, Tom Walker se n’è andato dalla Scozia quando aveva tre anni, portato in Inghilterra da una famiglia che comunque gli ha garantito un’educazione ‘Glaswegian’ (‘glasgowiana’, se si così si può dire) e all’interno della quale il cantante non lesina l’accento ‘scottish’, che è quanto accade ogni volta in cui torna nella terra natìa. «Tutta la mia famiglia viene da lì, mi piace suonare in Scozia, uno dei miei posti preferiti è il King Tut’s», ci dice Tom citando la leggendaria venue nella quale hanno messo piede i migliori emergenti dal 1990 in poi, dagli Oasis – che proprio qui vennero scritturati da Alan McGee nel 1993 – ai Radiohead, da Florence & The Machine ai Manic Street Preachers, dai Chemical Romance agli Snow Patrol (che Locarno ascolterà il prossimo 17 luglio nel calderone svizzero-tedesco chiamato Moon and Stars). «In Scozia ho suonato tante volte e ho preso ispirazione da molti buoni artisti locali come Paolo Nutini, del quale sono un fan dichiarato, e che ha avuto grande influenza su di me».

Un nuovo album a settembre (‘I am’, io sono), un primo disco alle spalle con dentro la canzone che ti cambia la carriera, ‘Leave a Light On’, la canzone che la carriera la fa correre spedita, ‘Just You and I’, e altri momenti topici come ‘For Those Who Can’t Be Here’, brano scritto in occasione della perdita del nonno, cantato nell’anno 2021 all’annuale Royal carols concert a Westminster, con al pianoforte Kate Middleton, al tempo Duchessa di Cambridge. Incontriamo Tom Walker a pochi giorni da Estival Jazz, che lo ha voluto sul palco di Piazza della Riforma venerdì 12 luglio in chiusura di programma, dopo il progetto ‘Gil Evans Remembered’, una all star band di allievi e sidemen del grande jazzista, e dopo i Bokanté, manciata di virtuosi con dentro ‘parti’ di Snarky Puppy. Quando Walker sarà sul palco, Estival avrà già assistito alla serata d’apertura, quella di giovedì 11 luglio: Diodato main act, l’artista di casa Chiara Dubey sua opening act e, dal Brasile, i Sons do Brasil - Ensemble Curumins, i talenti della periferia di San Paolo.

Quando Tom Walker ha capito che la musica sarebbe stata la sua vita?

Molto presto. Quando avevo 9 anni mio padre mi portò a un concerto degli AC/DC. Mi sono appassionato subito alla chitarra, alla musica rock, all’andare a sentirla dal vivo. Mio padre mi ha portato a molti altri concerti importanti e l’amore profondo per la musica è cresciuto. Ora ho 32 anni e pochi giorni fa sono andato a rivedere gli AC/DC: diciamo che, in qualche modo, il cerchio si è chiuso.

Di uno dei tuoi punti di riferimento, Paolo Nutini, abbiamo detto. Un secondo è Ray Charles…

Ray Charles è stato un grande songwriter, in un certo senso ha inventato la canzone pop, ‘What’d I Say’ dura 2 minuti e venti secondi…

E il terzo è Muddy Waters…

Sì, ma posso dire di amare tutti coloro di cui si parla nel film ‘Cadillac Records’, e cioè Muddy Waters, Little Walter, Howlin’ Wolf. In questo, mio padre non c’entra, è cosa che viene comunque dall’aver visto ‘Ray’ (2004, Oscar a Jamie Foxx nei panni di ‘The Genius’, ndr). Prima di allora non sapevo nulla di Ray Charles e nemmeno di tutte quelle figure chiave nello sviluppo della forma canzone.

C’è un disco che ti ha cambiato la vita?

Potrei dire ‘Regatta de Blanc’ dei Police, che cantavo a memoria sul sedile posteriore dell’auto di mio padre mentre tornavamo a casa. Amo i Police, amo Sting, quell’album è incredibile.

‘Leave a Light On’ è stato un successo mondiale, e il successo mondiale è qualcosa che può far andare fuori di testa. Nessun problema a gestire la popolarità?

No, per il fatto che ‘Leave a Light On’ non è il successo arrivato dalla sera alla mattina. Il mio viaggio era cominciato tanto tempo prima, con un contratto discografico firmato almeno quattro anni prima dell’uscita della canzone. La mia è stata una bella progressione, e in tutta sincerità provo una certa preoccupazione per chi un bel giorno si ritrova virale su TikTok e qualcuno viene a mettergli davanti alla faccia un accordo commerciale. Il successo mi ha trovato in una buona posizione: la canzone stava in un album appena terminato, che quando è uscito ha avuto successo. Forse lo shock più grande, uno shock positivo, è stato suonare in posti come il Giappone, davanti a 400mila persone che cantavano ‘Leave a Light On’, una cosa da non credere. Di ciò che è accaduto con quella canzone ho soltanto belle cose da dire.

Marco Mengoni e Zara Larsson sono due degli artisti con i quali hai collaborato, entrambi provenienti da talent show. Il tuo arrivare da altra direzione è stata una fortuna o un’occasione persa per accelerare le cose?

Un po’ mi preoccupa, anche dal punto di vista della salute mentale, vedere carriere decollare all’improvviso. Conosco un paio di persone che ci sono passate e le cose poi non sono andate come speravano. È difficile ‘esplodere’ e non sapere se sarà soltanto un fuoco di paglia. Credo non sia un gioco avere a che fare con produttori tv che ti insegnano cosa fare prima che tu sia preparato a fare un solo passo in questo mestiere.

‘I am’ è il titolo del nuovo disco. Non dovrebbe essere difficile dire che si tratta di un lavoro autobiografico…

È innanzitutto la cosa più entusiasmante che io abbia prodotto sino a oggi. È molto diverso dal primo disco e si deve al fatto che appartengo alla categoria di quelli convinti che non sia mai il caso di fare la stessa cosa due volte, ma che sia bello sperimentare, andare in direzioni diverse. Il primo album (‘What a Time to Be Alive’, ndr) parlava principalmente dei miei amici, della mia famiglia e delle storie che mi hanno raccontato. ‘I am’ invece è proprio un disco sulla mia vita, su tutto quello che ho vissuto negli ultimi cinque anni. Sono felice che abbia un suono massiccio, abbiamo testato alcune delle canzoni negli stadi, avendo avuto la fortuna di suonare di supporto a The Script, in grandi arene alle quali non ero abituato. Ho suonato alcune delle nuove canzoni nel tour britannico e le suonerò anche a Lugano, oltre al primo singolo ‘Head Underwater’ e al prossimo, che uscirà il 19 di luglio, ‘Holy Ghost’.

‘Head Underwater’ (testa sott’acqua) è l’ammissione dell’essere a volte soffocato dal peso del mondo, e insieme lo sforzo per venire a capo. Dal 2019 a oggi tante cose sono cambiate nella vita di tutti: con riferimento a quel peso, e al titolo del primo disco, ‘What a Time to be Alive’: è ancora un bel tempo per essere vivi?

Questi sono i nostri tempi, è spingere la testa in alto per prendere fiato, è combattere per riuscire fare il passo successivo. Dipende sempre da come guardi la vita. È evidente che le cose non sono rosee, sono giorni in cui devi apprezzare quel che hai. Viviamo un’epoca nella quale abbiamo accesso velocemente a tutto ciò di cui abbiamo bisogno, occasione fantastica ma che spesso prende il sopravvento su tutto il resto. Il mondo è in continuo cambiamento, io cerco di apprezzare il viaggio.

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