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L’apocalisse goccia dopo goccia

Con ‘Qivittoq’ Flavio Stroppini prova a portare a teatro l'assurdità della crisi climatica. Ma rimane impigliato in una storia d'amore

13 aprile 2024
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Un uomo, una donna e la banchisa artica. Sono questi i tre protagonisti di ‘Qivittoq’, spettacolo di Flavio Stroppini che ha debuttato giovedì sera al Teatro Sociale di Bellinzona, che lo ha anche prodotto, con repliche venerdì e stasera.

L’uomo è, appunto, Qivittoq: uno svizzero che da alcuni anni vive in una nave arenata in una baia al Polo Nord, isolato non solo dal mondo ma anche dalla piccola comunità inuit a cinque ore di distanza. La donna è Ane, giovane inuit amante di Qivittoq, speranzosa che il suo partner prima o poi si decida a portarla via dall’Artico inospitale.

La banchisa, infine, è ciò che separa e unisce i due amanti, in base all’imprevedibile spessore del ghiaccio e a un clima che nessuno più riconosce.

Questo spettacolo è il frutto di un progetto più ampio, con il quale Flavio Stroppini ha voluto raccontare la crisi climatica utilizzando il linguaggio dell’arte e del teatro, per spingere a riflessioni che dati e scenari scientifici non sempre riescono a suscitare. Il tutto è iniziato con una insolita residenza artistica trascorsa proprio come il Qivittoq che vediamo in scena, su una nave arenata nella banchisa artica. È lì che Stroppini ha scoperto questa interessante figura del folklore inuit groenlandese: i qivittut sono persone che vivono isolate dalla comunità e riescono a sopravvivere grazie a forze sovrannaturali e spiriti non necessariamente benigni, anzi.

Abbiamo quindi questa strana figura, a metà tra l’eremita e l’emarginato, collegato al resto dell’umanità da connessioni satellitari che dipendono da come tira il vento, evocando l’ambivalente rapporto tra individuo e società, tra condivisione e sorveglianza; abbiamo una donna inuit che ci mette di fronte alla complessità dei rapporti tra culture, rapporti che inevitabilmente vedono un dominatore e un dominato; abbiamo un ambiente estremo, ostile e al contempo fragile, in un delicato equilibrio faticosamente costruito dagli inuit che rischia di crollare. Possiamo poi aggiungere due interpreti notevoli – Massimiliano Zampetti è un Qivittoq eccezionale, capace di passare con naturalezza tra i vari registri dello spettacolo, mentre la recitazione di Moira Albertalli è (letteralmente e figurativamente) acrobatica –, le scene e i costumi di Rocco Schira, capace di portarci in un artico onirico ma al contempo concreto – coinvolgendo allieve e allievi del Corso di pittori di scenari del Csia – e le interessanti musiche di scena di Andrea Manzoni.

Ingredienti di ottima qualità ma la ricetta non riesce del tutto: pur ricorrendo a elementi tipici del teatro dell’assurdo, ‘Qivittoq’ non arriva a portare in scena l’assurdità dell’inazione umana di fronte al surriscaldamento globale. Forse per paura di spaventare il pubblico, Stroppini ha costruito lo spettacolo intorno alla relazione sentimentale tra Ane e Qivittoq: ne esce uno spettacolo divertente e ricco di ironia, ma alla fine la crisi d’amore sovrasta la crisi ambientale che rimane sullo sfondo, contingente causa di morti tragiche e motivo per discussioni e incomprensioni tra un uomo e una donna che potrebbero benissimo litigare per questioni di corna senza grossi stravolgimenti del testo.

‘Qivittoq’ è uno spettacolo riuscito: si ride, ci si commuove, si rimane affascinati dalle evoluzioni aeree di Moira Albertalli ma alla fine si esce dalla sala con la stessa consapevolezza ambientale di un report del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico e un po’ di amaro in bocca pensando a quello che lo spettacolo, se avesse osato di più, avrebbe potuto dare.