Spettacoli

Ken Loach, la fine di sessant’anni di cinema civile

Il regista britannico ha annunciato, in una lunga intervista a Variety, di non voler più dirigere film

Loach (Keystone)
7 aprile 2024
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La notizia ha scosso il mondo del cinema – quello d’autore, non quello commerciale che mai gli è appartenuto: Ken Loach, che ha sempre pensato all’arte dei Lumière e di Méliès come a un mezzo sociale capace di riscattare gli individui e di muovere al pensiero e all’azione le masse dei suoi spettatori, ha annunciato la sua rinuncia a girare ancora film.

L'annuncio è arrivato in una lunga intervista a Variety, realizzata in occasione della presentazione negli Usa del suo ultimo lavoro, ‘The Old Oak’. Il film, visto al Festival di Cannes lo scorso anno e passato anche in Piazza Grande al Festival di Locarno, è in questi giorni proiettato, insieme ad altri suoi film come ‘Kes’, ‘The Wind That Shakes the Barley’, ‘Riff-Raff’, ‘Poor Cow’ e ‘I, Daniel Blake’ in una retrospettiva al Laemmle Royal a Los Angeles. Secondo le sue affermazioni, ‘The Old Oak’ diventa il suo ultimo film, perché con i suoi 87 anni "penso che, dal punto di vista della salute, l'idea di ripetere il percorso sia probabilmente un passo troppo lontano: ti fermi solo quando devi assolutamente farlo, e io ho raggiunto la fine della linea".

Una scelta evidentemente sofferta dopo sessanta anni di carriera che, iniziati nel 1964 con la serie tv ‘Teletale’, lo ha visto ricevere due Palme d’Oro e tre Premi della giuria a Cannes e altri 120 premi in tutto il mondo. Una carriera piena di film amati dal pubblico, diventati bandiera di sentimenti ed emozioni come ‘Terra e libertà’, ‘La canzone di Carla’, ‘My Name Is Joe’, ‘Raining Stone’ e altri ancora. E ora "cerco solo di pensare al futuro e di non essere nostalgico". “Non fare film non significa che il legame con i film, con gli studenti e con le persone che scrivono di film finisca in alcun modo. E ho avuto fortuna, ci sono tante possibilità di fare cose simili al lavoro, ma non allo stesso livello di concentrazione e di viaggio”.

Lo ricordiamo a Cannes già stanco, affaticato più dagli anni che dalla voglia, e anche lì aveva provato a dire basta, ma nessuno gli credeva, e allora perché dieci mesi dopo questa intervista d’addio che ha fatto il giro del modo? Il perché forse è da cercare nel suo ricordare il discorso di Jonathan Glazer alla cerimonia degli Oscar, al coraggio del regista inglese di prendere posizione contro i bombardamenti a Gaza contro i palestinesi: "Sono sicuro che abbia capito le possibili conseguenze, il che lo rende ancora più coraggioso, quindi ho un grande rispetto per lui e il suo lavoro", ha detto Loach a Variety. E questa è come un’investitura, è l’aver trovato a chi passare il testimone di una lunga carriera, non un erede, ma colui a cui far continuare la gara in una ideale staffetta di un cinema che sappia far pensare e crescere civilmente. E in più c'è un argomento che gli sta a cuore e che non è mai riuscito a trasformare in film: la Palestina. "Era un argomento su cui mi sarebbe piaciuto lavorare, ma non sapevo bene come affrontarlo", ha detto. "Avrebbe dovuto essere un documentario, ma era un grande progetto e sicuramente al di là delle mie possibilità negli ultimi dieci anni". Ecco il problema: la fatica dell’età. Ricordiamo Manoel de Oliveira che a 103 anni ballava alle due di notte sulla spiaggia a Cannes; per Loach il tempo pesa di più. Succede, ma sicuramente lo vedremo ancora in giro a spiegare il cinema che ama, il bisogno di quel cinema. Buon lavoro Maestro.

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