Un successo, con due solisti di classe, la soprano Anna Prohasca e il baritono Josef Wagner, e l'organico Osi su misura per l'opera in programma
È tornato in Collegiata il Requiem di Brahms: nove anni fa era toccato a Diego Fasolis, quest’anno a Markus Poschner districarsi nell’acustica ridondante della grande navata, sotto la cupola del falso transetto. L’ho seguito da un posto privilegiato: cinque metri davanti all’Orchestra, con vista a sinistra sulla Cappella del Sacro Cuore di Gesù che ha un arredo pittorico coevo del Requiem brahmsiano con al centro una tela di Melchior Paul von Deschwanden, adepto di quella corrente artistica dei Nazareni, che rifiutò il classicismo e pasticciò col romanticismo. Quanto basterebbe per corroborare il sospetto che l’imponente opera del giovane Brahms porti tracce di sdolcinature nazarene. Sospetto che la bella, vivace lettura di Poschner ha decisamente fugato.
Due solisti di classe, la soprano Anna Prohasca e il baritono Josef Wagner. La piccola grande Orchestra della Svizzera italiana con ventisette archi, un organico su misura per l’opera in programma. Il Coro della Radiotelevisione svizzera con oltre quaranta coristi ben collocati all’ingresso dell’abside. Sono componenti contingenti di una splendida esecuzione, impreziosita dal contesto architettonico: l’ampio spazio costruito nel Cinquecento, le pitture e le sculture che l’hanno arricchito nei tre secoli successivi.
L’Op. 45 di Brahms non è un Requiem e nemmeno un Oratorio. È composto di sette brevi Cantate con testi biblici in lingua tedesca, che chiedono una dizione chiara e così svelano la loro estraneità a una celebrazione liturgica. Dura un po’ più di un’ora, come la Nona Sinfonia di Beethoven e così viene sovente fatto precedere dalla Tragische Ouverture op. 81, che Brahms compose nel 1880. È stata anche la scelta di Poschner e dell’Orchestra, graditissima dal pubblico, lieto per una sera di rinunciare ai comodi sedili del Lac, sopportare asceticamente il legno dei banchi della Collegiata, ma alla fine del concerto uscire “sì contenti, come a nessun toccasse altro la mente”, scendere sulla magnifica Piazza, con o senza cielo stellato, ma mirando in alto il Castel Grande illuminato.