Per la contabilità, tra ‘Globes’ e critica, premi a Paul Giamatti, Dominic Sessa e Da’Vine Joy Randolph. Per tutto il resto c’è la sala (dal 18 gennaio)
Alzi la mano chi ha passato un Natale tremendo. I bambini ovviamente non contano, ma per gli adulti nella maggior parte dei casi le feste natalizie corrispondono a uno dei momenti più difficili e confusi dell’anno. Più per abitudine che per altro ci costringiamo a passare ore e ore chiusi in casa con membri della nostra famiglia che mal sopportiamo, non possiamo dire quello che possiamo e quel poco che diciamo non viene recepito, ci scambiamo calzini in regalo e mangiamo fino a stare male – forse proprio per stare male, e così evitare ulteriori discussioni. Eppure dal Natale continuiamo ad aspettarci qualcosa di speciale, continuiamo nonostante tutto a crederci e il cinema, l’industria dell’inconscio per eccellenza, ne ha fatto un genere a sé, con film e puntate speciali delle serie tv – tipo quella della seconda stagione di ‘The Bear’ in cui una cena di Natale somiglia a una battaglia della Prima guerra mondiale.
Un film nuovo, anche se ambientato negli anni 70, con la grana (ricostruita digitalmente) e lo stile di un film degli anni 70, che aspira a entrare nel canone dei film di Natale è ‘The Holdovers – Lezioni di vita’, commedia dolce-amarognola di Alexander Payne (Oscar per la sceneggiatura non originale con altre due commedie happy-sad: ‘Sideways’ e ‘Paradiso Amaro’). Un film che vi farà rendere conto, nel caso ce ne fosse bisogno, che avete passato un Natale peggiore di quello di uno studente abbandonato in un liceo privato americano da solo con un professore strabico e pedante.
Augus (interpretato dall’attore esordiente, preso effettivamente in una scuola, Dominic Sessa) viene scaricato per telefono dalla madre che vuole godersi la luna di miele con il nuovo marito, mentre Paul (Paul Giamatti) viene incastrato dal resto del corpo docente, anche se in ogni caso non avrebbe niente di meglio da fare. Ai due si aggiunge la cuoca Mary (Da’Vine Joy Randolph), vedova, che ha da poco perso l’unico figlio in Vietnam. Per un po’ ci sono anche altri studenti con loro, ma vengono prelevati in elicottero dal ricco padre di uno di loro: Augus non può andare perché la madre è irraggiungibile per accordare il permesso. Si capisce subito che il professore severo in realtà ha un cuore d’oro e che lo studente irrequieto troverà il modo di fregarlo – “Brillante non lo so, ma ha moltissimo potenziale” dice di lui il professore, dopo essere stato fregato. Si capisce subito che tra loro nascerà una di quelle amicizie intergenerazionali in grado di curare le ferite di entrambi e in generale la trama procede in modo un po’ meccanico, ma è tutto così caldo e sincero e scritto per restaurare la nostra fiducia nei rapporti umani, che alla fine va anche bene così.
Metto subito le carte in tavola: sono particolarmente sensibile ai film sul rapporto padre-figlio o che affiancano a un protagonista maturo un bambino o un giovane adulto, tipo ‘Il Monello’ di Chaplin. Anzi, quelli che funzionano meglio sono quelli in cui i protagonisti non sono veramente padre e figlio (ecco, forse per passare un Natale decente dovremmo provare a organizzarlo non con le nostre famiglie ma con degli sconosciuti). E vale anche al femminile, o con coppie miste, come in ‘Paper Moon’, in cui un truffatore adulto si accompagna a un’orfana di nove anni, film che Alexander Payne ha mostrato a Dominic Sessa per dargli un riferimento prima di iniziare a girare. Come tutti i ragazzi cresciuti senza una figura paterna forte di riferimento so bene con quanta disperazione ci si possa affezionare al primo adulto che mostri in noi un minimo di interesse, ma so anche che di solito a rimetterci sono gli adulti. Nei film come nella vita i ragazzi continuano a crescere mentre agli adulti non resta altro che tornare alla loro vita. Beh, non è quello che succede in ‘The Holdovers’, dove sono entrambi a uscirne trasformati.
La forza di questo tipo di film sta nell’alchimia tra i due attori e nella diversa energia dei due protagonisti. Paul Giamatti è fantastico per come scivola nella stessa scena dall’austerità alla volgarità, dal registro patetico a quello comico e a tratti sembra essere lui a far da spalla a Dominic Sessa, giustamente più intenso e spigoloso. Augus è un ragazzo con la lingua più veloce del cervello, si mette nei guai perché non conta fino a dieci prima di parlare. Non è insensibile, ma non pensa che può offendere Paul se gli chiede in quale dei due occhi divergenti deve guardarlo. Da parte sua, Paul usa i libri e la cultura classica come un muro con cui proteggersi dagli altri esseri umani. A un certo punto racconta a Mary, la cuoca, l’unica sana nonostante sia in lutto, di voler scrivere una “monografia”, e le spiega che è come un libro, solo più corta. “Perché non scrivere un libro intero allora?”, chiede Augus. “Non penso di avere un libro intero dentro di me”, risponde Paul, tirando una nuova boccata dalla sua pipa. Mary commenta con compassione e fastidio: “Scommetto che non riesci neanche a fare un sogno intero”. Seppur in modo diverso Augus e Paul vivono entrambi con la paura di fallire, di non essere all’altezza. Si sfideranno reciprocamente, si metteranno in crisi a vicenda, si costringeranno a vivere fino in fondo.
‘The Holdovers’ è una commedia vecchio stile raccontata in modo semplice, ma che a differenza di molti film contemporanei ha qualcosa da dire. Nella scena più drammatica e sorprendente Augus incontra il proprio vero padre in un ospedale psichiatrico. Non è una scelta di sceneggiatura semplice e anche per lo spettatore non è un momento che scorre senza scossoni interiori. Augus gli racconta i suoi progressi accademici, gli dice quanto è bravo e quanto si sta impegnando, ma il padre sta da un’altra parte. Nessuno è più disperato di un figlio che pensa di poter guarire il proprio padre, e così facendo si ammala. Per fortuna sulla strada di Augus c’è Paul che, grazie a quel poco di esperienza in più, può dirgli quella che sarà pure una banalità, ma che se detta al momento giusto, alla persona giusta, ha un senso profondo: “Tu non sei tuo padre”. D’altra parte, qual è la differenza tra un film banale e un classico? ‘The Holdovers’ rende difficile distinguere le due categorie.
Oltre a ‘Paper Moon’, Alexander Payne ha usato come riferimento ‘L’Ultima Corvè’ e ‘Harold e Maude’. Se parliamo di film di Natale, però, a me ha fatto venire in mente ‘Mamma ho perso l’aereo’, con cui condivide il presupposto iniziale: un ragazzo viene lasciato solo proprio in quel momento dell’anno. L’ho rivisto di recente con mia figlia e devo confessare di essere rimasto scandalizzato da come il film faccia di tutto per riabilitare la posizione della madre e del padre che dimenticano il piccolo Kevin in soffitta prima di partire per Parigi. Perché nei film di Natale alla fine ci si riconcilia sempre con la mamma e il papà. In ‘The Holdovers’ non funziona così, né come in ‘Paper Moon’, dove la strana coppia resta insieme, forma una nuova famiglia. Dopo Natale viene Capodanno, le feste finiscono e bisogna sapersi dire addio. Almeno fino al prossimo anno.