laR+ La recensione

Un curioso quanto gradevolissimo accidente

Mettici pure il cast che non sbaglia né un tempo, né una battuta e la standing ovation per il Gabriele Lavia goldoniano è inevitabile (visto al Lac)

Visto a Lugano in ‘Un curioso accidente’
(Tommaso Le Pera)
14 gennaio 2024
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La scenografia scelta da Alessandro Camera sembra voler abbracciare l’intero teatro: disposta ad arco, nel mezzo accoglie una tribunetta dov’è sistemata una decina di spettatori. A sinistra è delimitata da due pianoforti e a destra da uno specchio da camerino degli attori con qualche lampadina che manca e qualche altra che “cirloca” (dialetto lombardo). Gabriele Lavia ci scherza su: “Oh, nemmeno a Lugano – Svizzera, eh… – trovo un camerino comme il faut, con tutte le lampadine che funzionano”. Battuta ovviamente non contemplata dal copione originale, datato 1760. I due pianisti accennano qualche nota e con un coretto sentenziano “che cosa sarebbe la vita senza il teatro!”. Il protagonista si piazza poi in mezzo al palcoscenico e introduce quel ‘Curioso accidente’ goldoniano che sta per proporre a un Lac vicino al sold out. Ne ha ben donde, sia poiché è uno dei lavori meno rappresentati e conosciuti del commediografo veneziano; sia perché necessita di un’indispensabile contestualizzazione storica. Dunque: si è appena conclusa la Guerra dei 7 Anni (1756-1763), che ha visto soccombere il Regno di Francia di fronte a una formidabile coalizione guidata dall’Inghilterra. Sicché, due reduci transalpini cercano e sperano di trovar rifugio in casa di Monsieur Filiberto, rimasto tranquillo in Olanda a farsi gli affaracci suoi, anche grazie alla guerra che ha messo fuori gioco i suoi concorrenti commerciali.

“È una storia vera – sottolinea Lavia mentre si cambia d’abito a vista, calandosi in quello di Filiberto – che Goldoni sentì raccontare in un caffè di Piazza San Marco”. Ma volete che Goldoni non ci ricamasse su, staccandosi dalle cruente cronache guerrresche per sistemarvi una storia d’amore, come al solito tribolato? Si dà infatti il caso che Madamigella Giannina, figlia di Filiberto, per sfuggire ai diktat di un padre oppressivo (e, non tanto sotto sotto, pure un tantino geloso) s’inventi una love story tra il ragazzo di cui è innamorata e tale Madamigella Costanza. Sarà proprio l’arguzia delle signorine coinvolte nella vicenda a portarci all’happy end: “Come tutte le donne di Goldoni – sottolinea Lavia – anche Giannina, Marianna (Giorgia Salari) e Costanza (Beatrice Ceccherini) sono portatrici di una nuova istanza di verità. Mentre gli uomini – soprattutto gli aristocratici – sono ottusi”.

Il pubblico, al quale è già sfuggita qualche risata e ha sottolineato qualche momento clou con un convinto applauso a scena aperta, si lascia piacevolmente coinvolgere in un labirinto di equivoci e situazioni a dir poco paradossali, trascinato dalla verve degli attori che lasciano il palco per correre in platea, scomparendo dietro le uscite di sicurezza per poi fare improvvisamente capolino da tutt’altra parte e tornare in scena, accompagnati da un altro scroscio di applausi. Assolutamente pregnante il faccia-faccia tra Filiberto e Monsieur Riccardo (Andrea Nicolini), altro ricco mercante che ha lo stesso problema: una figlia da maritare, bene se possibile!

A stemprare la tensione tra i due, ecco irrompere un estemporaneo Arlecchino (nostalgico richiamo a quella Commedia dell’Arte che Goldoni stava per seppellire con la sua riforma teatrale?), il quale – saltabeccando di qua e di là sia pur per pochi secondi – ci ha ricordato una vecchia massima: non esistono piccole parti, esistono solo piccoli attori. Una sentita lode, allora, al funambolico Lorenzo Volpe!

Ormai da vent’anni insieme sulle scene e nella vita, Gabriele Lavia e Federica Di Martino (Madamigella Giannina) sono accompagnati da un cast che non sbaglia né un tempo né una battuta, nemmeno nelle fasi più concitate della performance. Bardati con i pregevoli costumi disegnati da Andrea Viotti, tutti gli interpreti ballano, ridono, scherzano. Trasmettendo così, empaticamente, il loro sincero divertimento a una platea che accenna infine a una meritata standing ovation.