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Al Teatro Dimitri il miracolo di ‘Acqua’

Stasera, 30 settembre, e domenica a Verscio, il musical scritto e diretto da Melanie Häner, storia vera di Radwan in cerca di una vita migliore

Alle 20, con repliche domani alle 14 e alle 19
(www.acqua-musical.com)
30 settembre 2023
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Va in scena questo fine settimana al Teatro Dimitri, darà voce alle poesie di Radwan, intrise della sua esperienza di vita e ponte tra Somalia e Svizzera. Il progetto avvicina il continente africano al nostro, con la volontà di abbattere i pregiudizi e aprirsi, si potrebbe dire finalmente, all’ascolto. ‘Acqua’ è il nome di questo musical nostrano, un lavoro che ha coinvolto professionisti e dilettanti, uniti dalla comune passione per il teatro, la musica e con una grande volontà di raccontare il nostro mondo attraverso le poesie, in cui lo sguardo è quello di Radwan Kayse, giovane somalo giunto otto anni fa in Svizzera.

Abbiamo incontrato Melanie Häner, ideatrice, regista e autrice del musical che debutta stasera alle 20, con repliche domani alle 14 e alle 19.

Melanie Häner: da dove nasce e si sviluppa l’idea di realizzare un musical in Ticino?

Siamo un gruppo di adulti e ragazzi che ha iniziato a lavorare insieme tre anni fa, molti sono dilettanti e alcuni non sono mai saliti su un palco. Abbiamo costruito questa sinergia con professionisti, che è stata molto arricchente per entrambi nonostante le difficoltà nell’istruirli a tutto ciò che riguarda il mondo del musical. Un invito ad avere una capacità di ascolto diversa, non solo attoriale, della parola e dei gesti, ma anche della sonorizzazione e della musica, oltre che una ricerca sulla voce, sull’utilizzo del corpo, sulla danza e sul canto. Un valore aggiunto è l’originalità: in particolare, le mie musiche sono state scritte in pieno lockdown, nel periodo Covid, che per assurdo mi ha dato tempo per trovare qualcosa di nuovo dentro di me.

La produzione è stata a volte sfortunata, ad esempio non potrà essere presente un musicista con il caratteristico Oud, strumento simile al liuto. Ciononostante abbiamo compiuto il miracolo, ci tengo a dirlo, grazie a un volontariato incredibile da parte di tutte le persone coinvolte, dal Teatro Dimitri che ha offerto la residenza alla Chiesa Evangelica Riformata del Sottoceneri che ha fornito gli spazi per provare. Indispensabili anche il co-autore e co-regista Ruben Moroni e il musicista Max Pizio, che ha scritto e arrangiato i brani con uno sguardo verso l’Africa e le sue sonorità.

Radwan Kayse, come è diventato la voce poetica di questo spettacolo?

Volevo realizzare un progetto tutto mio e parlare di ciò che non si vede. Io le definisco “realtà sottili”. Mi fu raccontato di giovani immigrati, tra cui un ragazzo somalo che scriveva poesie in italiano e, presa da ispirazione, sono andata a conoscerlo. Esposto il progetto, Radawan si è subito mostrato interessato a capire e farsi capire, cosa non scontata perché spesso c’è reticenza e chiusura, paura del pregiudizio e dell’incomprensione. Nato per la seconda volta, ha dovuto ricominciare a vivere, a imparare da capo a camminare come un bambino, a volare come un pulcino. È stato un viaggio di scoperta insieme a lui, tra le poesie che parlano soprattutto del suo vissuto, che mi ha affascinata subito.

In che modo ha lavorato alle sue parole?

Ho cercato di creare una connessione di linguaggio tra questi due mondi, attraverso un intreccio tra la sua vita e quella dei personaggi della nostra storia, che rappresentano esempi di vita quotidiana, un po’ esasperati e grotteschi. Personaggi che trovano il diario di Radwan, ma le poesie che racchiude si schiudono solo nelle mani di chi si apre all’ascolto. Versi che sono delicati come lo è lui, raccontano la sua verità con purezza e umiltà, della volontà di aprirsi malgrado le difficoltà, di una voglia di capire ed entrare nel nostro mondo. Radwan lo interpreta con le poesie e noi con loro interpretiamo il suo, attraverso lo scarto che fanno i personaggi tramite la lettura del suo diario e il moto, il desiderio di cambiare la propria vita, che da ciò consegue.

Un tema, quello dell’immigrazione, portante, urgente, quotidianamente discusso. Quali sono gli obiettivi di questo spettacolo?

Non si tratta di un messaggio politico, perché si parla di umanità. È una storia sensibile e fine, raccontata in maniera poetica, nel tentativo di riportare la questione a un approccio più umano e quindi vicino. I personaggi dello spettacolo sono in una gabbia sociale, non riescono a esprimersi, riflettono quella curiosità e voglia di scoprire, che manca un po’ nel nostro modo di vivere. A Radwan, arrivato in Europa, chiedevano sempre di che religione fosse, un simbolo del pregiudizio che abbiamo verso qualcuno che non conosciamo, tema centrale di uno spettacolo che vuole mostrare anche la paura di una persona decisa a immergersi in un mondo nuovo, sconosciuto.

Credo che non siano religione, cultura o provenienza a definire una persona, bensì l’individuo stesso, quindi il nostro è un invito a osservare con occhi diversi ciò che ci circonda, a porci domande sulle cose invece di ignorarle o respingerle. Tutti si sono connessi col cuore a questo progetto e questa è la sua forza. Radwan ha permeato il gruppo di qualcosa che va oltre l’ego di ciascuno e ha aiutato, come spero aiuterà gli altri, a ritrovare l’umiltà, un po’ perduta, della nostra società (info: www.teatrodimitri.ch).


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Melanie e Radwan