Enorme successo e lunghissimi applausi per il 1° atto della stagione dell’Orchestra della Svizzera italiana, accompagnata dall’Orchestra del Conservatorio
La sezione dei corni è in piedi, seguendo la partitura che scrive di farli alzare per suonare a tutta forza il gran finale del trionfo che è anche del ritorno. Sul podio Markus Poschner con la mano, la bacchetta e tutto il corpo disegna musica nell’aria che l’Orchestra della Svizzera italiana e quella del Conservatorio - una novantina di musicisti - traducono in vita. Gustav Mahler è entrato al Lac e ha guidato il pubblico in un mondo di speranza, luce ed eterna vittoria della bellezza.
Un paio di ore prima, una luna enorme e quasi piena ha fatto capolino dai monti illuminando le acque buie del golfo. Una lama di luce che, da Piazza Riforma al Lac, conduceva simbolicamente lo spettatore verso un viaggio che non era ancora pronto a compiersi. Con saggezza la Prima sinfonia del compositore austriaco, nell’esordio della stagione ‘23-’24 dell’Osi, è stata preceduta dai ‘Vier Letzte Lieder’ di Richard Strauss, sua ultima grande composizione. Un magnete di amore e fiducia per la luna, portata sempre più verso la sala teatro con la voce del soprano Erica Eloff a delineare un posto comodo, dove rifugiarsi con una coperta calda rimboccata da un’esecuzione impeccabile dell’Osi e dei giovani del Conservatorio. Poschner, nei tempi lenti, ha sistemato con ferma dolcezza la trapunta, ha guidato l’attrazione magnetica, ha gestito bene i passaggi tra i Lieder e la mano alzata a fermare l’applauso pronto a partire alla fine dell’ultimo canto di Eloff non stava facendo altro che chiamare a sé la luce che da lì a mezz’ora, intervallo benefico per godere appieno della serata, sarebbe entrata in sala dopo il bis di Eloff, un canto tradizionale irlandese, “She moved through the fair” che ha sorpreso ed è piaciuto.
Le sette ottave di introduzione nella Prima sinfonia di Mahler, quel “Wie ein Naturlaut” che, scritto in partitura all’attacco, dà contezza della vastità del mondo in cui si sta entrando sono state il primo passo in un bosco di sensazioni, con echi lontani di fanfare militari di una guerra finita, con canti fanciulleschi - palese la citazione di “Fra Martino campanaro” -, con un passo che una volta affonda nel muschio morbido e un’altra si appoggia alla roccia dura. Un suono di natura, appunto, che accelera e rallenta, con Poschner attentissimo a gestire le frenate ed elegante nel non calcare la mano quando l’enfasi potrebbe prendere il sopravvento rompendo però l’armonia dell’incedere.
Con la “marcia funebre” nel terzo movimento gli spettatori sono entrati in una sintonia perfetta con la musica e sembrava si facesse parte dello stesso mondo, un’attesa della speranza introdotta dal sognante timbro delle due arpe. Insomma, vale la pena vivere insieme in questa esistenza che, ha spiegato benissimo Poschner nel Lunch di mezzogiorno, con Mahler vede protagonista quello che si sente e quello che si è dentro nell’anima, non il mondo fuori.
Mondo fuori che irrompe, fortissimo, col piatto che simula il lampo del temporale che riaccende quello che si credeva sopito, che ridà luce al bosco e al cammino interiore, con un quarto movimento così più lungo degli altri perché, con la ripresa estesa e in contrappunto dei temi presenti nei movimenti precedenti, c’è da guardare indietro e capire però, dentro di sé, dove si è andati. E si è andati in un posto sicuro, nel finale che Mahler in versione pur serena dedicherà spesso alla morte in molte sinfonie seguenti, ma che nella Prima porta il trionfo della speranza, della vita, della luce in un cammino spesso periglioso ma che sempre conduce di nuovo a casa.
La sezione dei corni è in piedi, dicevamo. Gli ottoni a tutta forza lanciano il finale trionfale con un Poschner che al momento giusto scioglie completamente la briglia e carica l’emozione della sala fino a farla esplodere in un applauso lunghissimo, di ringraziamento a tutta la compagine sul palco, dai più esperti professori dell’Osi ai più giovani studenti del conservatorio, per aver guidato tutti i presenti in un viaggio interiore arricchente e dolce.
All’uscita la luna è alta in cielo e le chiacchiere si mischiano ai sorrisi. Con la consapevolezza di sentirsi diversi rispetto a quando si è entrati. Questo è Mahler.