Il nuovo film di Michael Koch, ‘Drii Winter’ (Tre inverni) è aria fresca per il cinema svizzero (dal 23 febbraio nelle sale)
Le Alpi grigionesi sono lo sfondo di questo coraggioso dramma romantico, ‘Drii Winter’ (Tre inverni), secondo film di Michael Koch, menzione speciale al Festival del Film di Berlino 2022 e presente nella sezione Panorama Suisse al Locarno Film Festival 2022. Un mondo a sé stante e isolato, quello della regione dell’Albula, dove il tempo scorre lentamente ed è scandito dai rigidi inverni e dal lavoro dei contadini, su e giù per le montagne a falciare erti pendii e far pascolare il bestiame. Il silenzio della vallata alpina, tra i suoi aghi di pino sempreverdi e gli enormi detriti di frane passate, vien meno solo al rumore del passaggio di qualche vettura a valle e all’interno delle poche bettole di paese, tra il chiacchiericcio di chi si gode una birra dopo il lavoro, o di un tè freddo, come Marco, uno dei due protagonisti del film.
Marco è per la comunità di montanari un outsider e, nonostante provenga dal non lontano Canton Lucerna (Willisau), è comunque considerato un uomo di pianura, un cittadino. Alto e nerboruto, introverso e silenzioso, viene inizialmente rispettato, senza essere però integrato tra i paesani. Malgrado ciò, egli è molto amato da Anna, la sua compagna, giovane donna del posto che lavora presso l’hotel della madre e come postina. Marco lavora sodo in un luogo che sembra essere fatto apposta per lui, per il suo fisico possente e per il suo genuino amore per gli animali, soprattutto nei confronti delle mucche. L’amore tra lui e Anna si scontra con l’ambiente ermetico e impenetrabile della montagna, un luogo sperduto ed ecclesiastico. Qui, la piccola Julia, figlia avuta da Anna in una precedente relazione, in pochissimo tempo accetta in tutto e per tutto Marco come suo padre.
Tuttavia, un incidente riporta la neo-famiglia con i piedi per terra e Marco non sarà più lo stesso, trovandosi sempre più in difficoltà nel gestire i propri impulsi, che inevitabilmente lo trascinano verso una direzione di progressivo distacco per necessità. È quindi Anna, e in secondo luogo Julia, a dover prendere le redini della famiglia, costretta a occuparsi dell’uomo che ama, senza tuttavia abbandonarlo, anche quando le cose sembrano insostenibili e il giudizio esterno si aggrava.
‘Drii Winter’ affronta e accosta temi delicati come amore e abbandono, malattia e pedofilia, bigottismo e apertura mentale, contemplandoli in silenzio, lo stesso che si crea dopo le domande a cui lo spettatore ha un buon tempo per rispondere, sicuramente interrogando la propria interiorità e per cui non esiste un’unica risposta, un’unica presa di posizione. Nel film, questa scala di grigio vive tra il bianco invernale e il nero delle buie serate, quelle che fanno venir voglia di rintanarsi nel calore della propria dimora o in quello della birra nell’osteria di paese, ridendo e scherzando.
Estremamente interessante è il parallelismo che Koch crea attraverso l’accostamento con le mucche. Queste urinano mentre si parla di Chiesa, vengono fatte montare, in maniera meccanica, brutale e priva di passione, dopo aver parlato di fare un figlio e, quando è necessario il macello, si parla di abbandono, che in un clima rigido come quello alpino può significare morte. In generale, ciò segue molto l’andamento della vicenda soprattutto per quanto riguarda Marco: il suo malessere coincide con quello del toro da monta e quando le speranze sono ormai svanite, una mucca viene appesa e sviscerata.
Un ritmo gestito in maniera impressionante, che scivola dolcemente ed è scandito dall’arrivo periodico dell’inverno nonché tramite il coro polifonico, che divide il film come atti di una pièce teatrale. Questo canto, che può essere attribuito alla montagna, riecheggia e ci interroga sull’identità dell’amore allo stesso modo del noto brano degli Haddaway, ‘What is Love’, giustapponendo passione e dolore. Il film sembra volerci suggerire che l’amore è incondizionato e si rivela davvero sincero e solido nel momento dove è più necessario, cioè quando una parte di noi vorrebbe solo fuggirvi.
Tutto ciò è supportato dall’ottima interpretazione dei due protagonisti, entrambi non-attori, oltre che dalla singolare scelta di un formato in 4/3, che non risulta opprimente ma piuttosto comprimente e incanala lo spettatore all’interno del quadro visivo, facendo scontrare in un qualche modo l’apertura nell’affrontare certe tematiche contro la chiusura ermetica dell’ambiente alpino, con le proprie tradizioni e convinzioni, difficilmente scardinabili.