recensione

Zorro tra Castellitto e Mazzantini

Dopo vent’anni, nel fine settimana scorso, l’attore italiano ha portato sulla scena teatrale del Cinema teatro di Chiasso ‘Zorro’, eremita barbone

Applausi per Sergio Castellitto
(Keystone)
12 febbraio 2023
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Festival di Locarno edizione 1987: il regista Claudio Sestrieri è in Concorso con ‘Dolce assenza’. C’è un attore 23enne che, cercando d’intortarsi la bella Jo Champa (allora top model di punta della scuderia Versace), le propina un elogio della lentezza dove rievoca le gesta di Gianni Rivera, giunto a fine carriera ormai da qualche anno. Già innamorato perso dell’Abatino (copyright by Gianni Brera), il vostro, all’epoca giovane cronista, si entusiasma anche per questo attore quasi esordiente e semisconosciuto, che però ha certo del talento, molto talento. Seppur refrattario alle interviste, chiedo dunque di incontrarlo. Mi si presenta un ragazzo così modesto da non riuscire a nascondere imbarazzo e timidezza, sebbene io sia un semplice critico di provincia. Avevamo però visto giusto: la bravura di Sergio Castellitto gli ha portato in dote una splendida carriera. Nel cinema italiano e internazionale (il cult movie ‘Le grand bleu’ di Luc Besson; il poco visto ma grazioso ‘Ricette d’amore’ della tedesca Sandra Nettelbeck) e forse soprattutto in tv, dove ha interpretato molti personaggi della cronaca azzurra: dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa al Campionissimo Fausto Coppi; dal martire Rocco Chinnici a Padre Pio, passando per il Priore di Barbiana Lorenzo Milani e il compositore Gioachino Rossini (con la regia di Mario Monicelli).

Forse stanco e logorato dal vestire tanti panni illustri, Castellitto ha scelto di indossare i cenci di un barbone per il suo ritorno su un palco teatrale, da dove mancava da quasi vent’anni. E per questa rentrée si è naturalmente affidato a Margaret Mazzantini, la moglie scrittrice che nel frattempo gli ha dato quattro figli. ‘Zorro’ (visto nel weekend a Chiasso) è il ritratto di un clochard molto particolare. Un’infanzia tutto sommato felice così come la sua vita da adulto con un buon lavoro e l’affetto di una famiglia. Poi il destino ("La vita la fa quel che la voeur", ammoniva Jannacci) l’ha privato improvvisamente di tutte le sue certezze.

Ha dalla sua una certa cultura, sicché diventa un eremita sui generis, capace di guardare filosoficamente al resto del mondo. Osserva i "normali" (che chiama cormorani), i passanti sempre di fretta poiché mancano di ciò di cui lui dispone ampiamente, il tempo: "L’orologio non ce l’ho, è solo un peso! L’orologio io ce l’ho in cielo". Per lui, dunque, niente sveglia il mattino, nessuna corsa per arrivare puntuale sul luogo di lavoro. Piuttosto, il quotidiano divertimento nell’osservare e poi filosofeggiare su quanto gli sta attorno. Un po’ nostalgico personaggio chapliniano e tuttavia molto volentieri ironico (qualche critico ha scomodato addirittura il premio Nobel Heinrich Böll e le sue ‘Opinioni su un clown’). Ha riscoperto una sua ricca vita interiore, non nutre invidia alcuna per quello lì che gli sfila davanti "col mocassino aerodinamico, il pile idrorepellente e gli occhiali di tendenza sulla testa calva e forse vuota". Preferisce dormire in qualche stazione della metropolitana, ma non disdegna qualche cartone steso in stazioni FS, dove i ferrovieri lo lasciano stare: uno che sorride così di certo non cerca rogne, né tantomeno le creerà! Anche con Dio ha un buon rapporto: "Padreterno, fammi venire un po’ lassù con te a guardare sto videogame, sti cormorani che saltano fuori pista con le loro auto, quelli che saltano dai balconi, quelli che saltano sulle bombe e anche quelli che saltano e basta".

Il pubblico di Chiasso? Attonito – perché finire barboni è un attimo: e se toccasse domani a me?! – ma rassicurato dal quasi happy end ("C’è una cameriera che forse mi darà un bacio!"), si è infine abbandonato in un sincero quanto prolungato applauso.