Stasera al Lac si replica lo spettacolo di Lina Prosa diretto da Carmelo Rifici. Ottima prova degli interpreti, notevoli le musiche di Zeno Gabaglio.
Una grande pedana circolare e rotante. Un letto, due sedie, una testa di cavallo di ghiaccio che lentamente inizia a sciogliersi, gocciolando su alcune ciotole. Ulisse, con stivali di gomma, una pelliccia e il volto pitturato di bianco come un clown. Una misteriosa donna artica che intesse un paesaggio sonoro senza tempo.
Lui è Ulisse, lo sappiamo dal titolo dello spettacolo di Lina Prosa e diretto da Carmelo Rifici arrivato al Lac (coproduttore col Teatro Biondo di Palermo) martedì e mercoledì sera. La testa potrebbe essere quella del Cavallo di Troia, la pedana una delle tante isole in cui l’eroe è naufragato nel suo viaggio verso Itaca, la donna una delle tante figure femminili dell’Odissea. Che non è così, o meglio non è solo così, lo capiamo sempre dal titolo: non è semplicemente ‘Ulisse’, ma ‘Ulisse Artico’. Non siamo di fronte a un banale spostamento geografico: a cambiare sono innanzitutto il senso e l’orizzonte della storia.
Una premessa. Perché è difficile raccontare il riscaldamento globale e la crisi climatica? Ci sono diversi fattori. Uno è certamente la difficoltà della mente umana di comprendere quella che il linguista George Lakoff chiama "causalità sistemica": il nostro cervello se la cava bene quando si tratta di collegare due fenomeni – se spingo un oggetto questo si muove, cause ed effetto – ma fatica a comprendere complesse catene di eventi come quelli alla base dei cambiamenti climatici. Ma c’è anche l’incapacità del romanzo moderno – la forma principale di narrazione occidentale che influenza anche cinema e teatro – di raccontare l’improbabile e l’inaudito. Lo scrittore indiano Amitav Ghosh la definisce, nell’omonimo saggio pubblicato in italiano da Neri Pozza, ‘La grande cecità’ e la riconduce all’esclusione dell’idea di collettività dalla letteratura, oltre che dalla politica e dall’economia.
Penso che queste coordinate possano essere utili per comprendere ‘Ulisse Artico’ di Prosa e Rifici. Ulisse è solo, ma la sua non è la solitudine di un Robinson Crusoe che, prototipo del self-made man, domina la natura e porta la civiltà: la sua è la solitudine di chi ha perso ogni riferimento, di chi ha concluso la sua Odissea perché si è reso conto che Itaca non c’è più, si è sciolta come i ghiacci artici. E, come afferma a un certo punto, "è impossibile riparare ciò che si è sciolto". Questa solitudine si sviluppa attraverso il rapporto con la misteriosa donna artica che, come si capisce abbastanza in fretta, non è un personaggio dell’Odissea ma una cacciatrice Inuit che ha già concluso il percorso che Ulisse ancora deve compiere.
Quello che vediamo sul palco è un "non Ulisse" che prova a sviluppare la grande narrazione dell’Odissea in una direzione diversa da quella percorsa dalla letteratura occidentale. Non le avventure di un eroe in lotta contro forze divine o umane, ma lo smarrimento di fronte a una realtà che si scioglie e si perde, lasciando il posto a navi mercantili che percorrono il non più mitico Passaggio a Nord-ovest.
Tutto questo prende la forma, e non potrebbe essere altrimenti, di un testo denso e criptico. Un testo che da solo si perderebbe ma che sul palco trova il supporto innanzitutto delle scene e dei costumi di Simone Mannino, con la pedana rotante che dà al contempo movimento e instabilità. C’è poi l’ottima prova degli interpreti, alle prese con uno spettacolo complesso e difficile: Giovanni Crippa è un eccellente Ulisse e la giovane Sara Mafodda una ottima attrice e performer vocale. Notevoli anche le musiche di Zeno Gabaglio che, ben seguendo le atmosfere di questo ‘Ulisse Artico’, ha unito e trasfigurato vari riferimenti musicali e sonori.