Lina Prosa reinterpreta gesta e peripezie del mito classico in un futuro apocalittico. Ne abbiamo parlato con Carmelo Rifici, nel ruolo di regista
Dal Mediterraneo all’Artico; da una storia popolata di innumerevoli personaggi, all’isolamento desolante che è visione apocalittica del futuro. In questa seconda dimensione vive Ulisse Artico (maiuscolo, quasi «a ridefinirne la personalità»), protagonista dello spettacolo che porta il suo nome.
Prodotto dal Teatro Biondo di Palermo in coproduzione con il Lac Lugano Arte e Cultura, ‘Ulisse Artico’ è stato scritto dalla regista teatrale e drammaturga Lina Prosa, prima autrice italiana a essere messa in scena dalla Comédie Française. A dirigere gli attori sulla scena – Giovanni Crippa, che è Ulisse, e Sara Mafodda – è il regista Carmelo Rifici, nonché direttore artistico del Lac. La cura della scenografia è di Simone Mannino e le musiche (di là delle note di ‘Le temps des fleurs’ di Dalida che risuonano sul palco) sono del compositore ticinese Zeno Gabaglio.
In occasione del debutto svizzero sul palco della Sala Teatro del Lac – martedì 7 febbraio alle 20.30, con replica l’8, allo stesso orario –, abbiamo chiacchierato con il regista Rifici delle tematiche che attraversano lo spettacolo che rilegge in chiave contemporanea l’ingegnoso Ulisse, reinterpretandone le gesta.
Ci serviamo delle parole del comunicato stampa, per descrivere l’opera portata in scena. "L’eroe contemporaneo riparte dalle terre polari, da una nuova Troia, da una nuova terra di macerie, sperimentando ancora una volta il naufragio, nel cui tormento, questa volta, non c’è una Itaca che l’aspetta. Lo scioglimento dei ghiacciai disegna un nuovo paesaggio continuamente in sottrazione, di derive inarrestabili, alla cui radice sta una moderna guerra invisibile. È la guerra strisciante che l’inquinamento e il surriscaldamento termico impongono al nostro mondo.
Il passaggio delle macerie dallo stato solido a quello liquido rende la tragedia ancora più insopportabile di quella antica. Niente sopravvive, si perde il senso della continuità. Avanza il deserto della Storia. L’evocazione di figure mitiche, come Nausicaa e Calipso, non regge più perché anch’esse intossicate dalle emissioni di anidride carbonica. Al loro posto un nuovo sistema di sfruttamento delle risorse, un nuovo sistema di navigazione che inaugura una nuova scacchiera di ricchezze e di poteri, di turismo globale. Nuovi schiavi all’orizzonte dell’eroe polare".
Perché evocare il mito di Ulisse per dire della crisi climatica?
A questa domanda posso rispondere cercando di interpretare la volontà dell’autrice, perché la scelta di scomodare un mito così importante è sua. Il rapporto fra autrice e personaggio è molto forte: Lina Prosa è un’autrice mediterranea che vive su un’isola, la Sicilia, che storicamente, mitologicamente, antropologicamente non è così distante da ciò che poteva essere un’Itaca. Attraverso il personaggio letterario, Lina racconta allora le stesse inquietudini e paure, gli stessi sgomenti che prova lei di fronte a ciò che intorno a lei la natura racconta. L’Artide e Ulisse immerso nei ghiacci sono una metafora per raccontare le inquietudini esistenziali di un essere umano.
Nonostante il titolo gli sia dedicato, Ulisse non pare essere l’eroe della drammaturgia. Chi lo è?
Non c’è un ruolo eroico in questo testo. C’è il tentativo – attraverso una scrittura molto lirica – di una riflessione poetica sulla contemporaneità. Più che un antieroe ci siamo divertiti a immaginare un Ulisse che non può più essere Ulisse: è smitizzato, clownesco, molto melanconico. Quello che vediamo in scena, è un uomo molto solo, oramai alla fine del suo viaggio che ammette non soltanto la sua solitudine, ma anche di avere una grande paura di morire. La sua figura è dunque umanizzata e nel testo mi sembra traspaia l’intenzione di renderla tragicomica… A ben guardare, l’Ulisse Artico sembra più un personaggio di Samuel Beckett, piuttosto che di Omero.
Di là della presenza di Mafodda, Crippa è solo sulla scena. La solitudine è allora un motivo dell’opera?
È l’argomento dello spettacolo, oltre al macro tema dello sgomento di Prosa rispetto al cambiamento climatico. L’aspetto su cui Giovanni e io abbiamo lavorato è stato quindi portare la riflessione sul significato di essere soli, sulle conseguenze della solitudine. Ci ha aiutato ancora il testo che parla di un uomo solo che, su un lastrone gelato staccatosi dalla banchisa, viaggia in un mare dove c’è più acqua che ghiaccio…
… andando alla deriva.
Una deriva simbolica, metaforica ed esistenziale. Circa il tema della solitudine, abbiamo cercato di amplificare allora il bisogno di Ulisse (abituato all’avventura, alla scoperta, all’autonomia) di contatto umano. Questo è molto commovente. In questo universo sono tutti soli, credo che questo sia il grande messaggio che Lina abbia voluto imprimere al testo, oltre la critica al capitalismo sfrenato. Soprattutto ‘Ulisse Artico’ è uno sguardo attento e compassionevole alla disperazione degli esseri umani sempre più soli e distaccati gli uni dagli altri.
Senza possibilità di ritorno visto che Itaca non c’è più. Oppure c’è salvezza?
Non c’è Itaca, ma c’è una donna di stirpe Inuit (impersonata da Mafodda; ndr). È vero che quando Ulisse la trova lei è già morta. Ma, contrariamente all’eroe classico, il nostro Ulisse si prende cura delle sue spoglie: la sua abnegazione – potrebbe tentare di salvarsi, ma non lo fa – lo porta a occuparsi di quella che definisce una nuova Pentesilea (si racconta fosse la regina delle Amazzoni, le donne guerriere; ndr). L’azione di prendersene cura potrebbe essere letta allora come testimonianza del desiderio di contatto umano, di relazione.
Informazioni aggiuntive circa le rappresentazioni e prenotazione dei biglietti reperibili sul sito www.luganolac.ch.