La sala ha potuto godere di un bel programma dedicato al grande compositore. Eccezionale interpretazione di Marc Bouchkov
L’Orchestra della Svizzera italiana è tornata giovedì scorso al LAC diretta da Michele Mariotti e con Marc Bouchkov solista di violino, nel Primo Concerto per violino (1916-17) di Sergej Prokof’ev (1891-1953) e nella Prima Sinfonia (1876) di Johannes Brahms (1833-1897). Nel bel programma di sala il pubblico ha trovato i nomi dei 38 strumentisti titolari e dei 56, che con sostituti e aggiunti andavano in scena giovedì. Qualche vecchia gloria ha lasciato per raggiunti limiti d’età, qualche volto nuovo è comparso; alla fine del concerto gli ascoltatori fedeli erano rassicurati: la qualità dell’Orchestra non è cambiata.
Prokof’ev è un grande compositore al quale la rivoluzione ha tagliato la vita in due. Proprio il suo Primo Concerto per violino ne è un esempio: quando sta per andare in scena a San Pietroburgo scoppia la rivoluzione e la prima esecuzione avverrà a Parigi sei anni dopo. Questo concerto è un capolavoro che sfrutta tutte le risorse dello strumento, usa un linguaggio certamente antiromantico, nei tempi veloci anche faceto e irriverente, ma nei tempi lenti e meditativi non riesce a nascondere la malinconia dell’animo slavo.
Il violinista Marc Bouchkov è nato in Francia trentun anni fa da genitori di origine russo-ucraina, che giustifica forse una predilezione per la musica di Prokof’ev. I riconoscimenti in carriera elencati nel programma di sala bastano a spiegare l’eccezionale interpretazione data giovedì a Lugano. Il suono del violino si è staccato sempre da quello dell’orchestra per forza ed espressività. E vanno lodati il direttore Mariotti e gli orchestrali che hanno frenato gli impulsi dinamici e assecondato mirabilmente il solista. Anche gli ascoltatori hanno progressivamente respirato con lui e circondato la musica di un silenzio assoluto, durato a lungo dopo lo spegnimento dell’ultima nota e poi sciolto in applauso irrefrenabile.
Bouchkov ha dovuto concedere un bis, la Terza Sonata, "Ballade", di Eugène Ysaÿe, ma non è bastato. Allora è ricorso a una sua composizione (forse in parte un’improvvisazione) su melodie di canti popolari ucraini, che ha ancora accresciuto l’emozione degli ascoltatori. Mi ha fatto pensare al paesino di Soncivka, nell’Est dell’Ucraina, dove nel 1891 nacque Sergej Prokof’ev.
Dopo una prima parte del concerto così coinvolgente, la seconda parte con la Sinfonia Brahms, un balzo indietro di quarant’anni in pieno crepuscolo romantico, è sembrata un altro concerto. Va ricordato che l’Osi e il suo direttore principale Markus Poschner con le Sinfonie di Brahms hanno ricevuto i maggiori riconoscimenti internazionali. Le misero in programma sette anni fa nella stagione concertistica 2015-2016. Nel 2016 le presentarono in un bellissimo cofanetto e nel 2018 ricevettero il prestigioso premio internazionale ICMA.
Insomma mi sembra di poter dire che il maestro Michele Mariotti ha affrontato l’esame brahmsiano dai professori dell’Orchestra della Svizzera italiana e l’ha superato con un voto discreto, convalidato dagli applausi cordiali del pubblico.