Le sue storie di musica da domani su Ticino7, ogni primo sabato del mese, a parole e in voce (l’intervista)
Alla fine degli anni 70 lavorava a Radio Genova International, bella emittente dentro uno chalet in legno a due piani nella zona alta del Righi. Dallo studio vedeva il porto di Genova e lo sguardo, di notte, arrivava fino a Savona, fino a Imperia. Da lì, per colpa dei tarli, il titolare trasferì la radio in centro. E in centro Radio Genova International divenne anche Cpa, Centro produzioni audiovisive: «Questo lungimirante proprietario si era inventato di farci registrare trasmissioni che venivano poi vendute in giro per l’Italia. Partecipavamo io, Clelia Bendandi, Fabrizio Frizzi, Emilio Levi, Barbara Condorelli. Erano i primi soldi guadagnati, ognuno registrava una sua trasmissione di un’ora e aveva una piccola percentuale su ogni puntata venduta, con un jingle di riconoscimento del tipo: "Benvenuti su Radio Vipiteno, sono Sergio Mancinelli…", "Benvenuti su Radio Catanzaro Sound, sono Sergio Mancinelli…".
Benvenuto Sergio Mancinelli, giornalista, conduttore radiofonico e televisivo, fra i primi a raccontar di musica tra Rai (‘Concertone’, ‘Discoring’, un Sanremo da presentatore), Radio Capital (‘Sentieri Notturni’, ‘Dodici79’, e l’indimenticato ‘Area Protetta’, che veniva a trasmettere da casa tua e tu ci mettevi i dischi) fino a RTL 102.5 Best, fresco d’emissione. Da domani, su Ticino7, Mancinelli sarà parole e voce di ‘Di tutto un pop’, monografie di grandi della musica; più in generale, storie di musica, anche in forma di podcast, da ascoltarsi ogni primo sabato del mese su www.laregione.ch. «Però i podcast non nascono oggi», ci dice. «Negli anni di Genova, per incrementare i miei guadagni, m’inventai una trasmissione di un quarto d’ora che alla radio costava di meno, e che era possibile replicare due o tre volte al giorno; la vendemmo a ottantadue radio, si chiamava ‘Made in Italy’ ed era un piccolo format dedicato interamente alla musica italiana, replicabile. Era un podcast ante litteram, della durata massima di dieci-quindici minuti». L’ideale.
Prima dell’avvento delle radio libere, in Italia non si chiedeva altro alle canzoni se non di essere mandate in onda: «Esistevano soltanto gli annunciatori della Rai e una figura di confine rappresentata dai protagonisti di ‘Supersonic’ (trasmissione di culto di Radio Due, luglio 1971 - dicembre 1977, ndr), Gigi Marziali, Paolo Testa, Antonio De Robertis, che la musica la presentavano anche. La realtà è che quando esplose il fenomeno delle radio private, o ‘pirata’, come le chiamarono all’epoca, la cosa ci colse un po’ tutti impreparati. Venimmo travolti da questa grande voglia di musica, che per la generazione degli anni 60 e 70 è stata una sorta di finestra sul mondo. In quei giorni si stava ampliando il catalogo di brani e conoscenze, e soprattutto le radio private, che avevano a disposizione 24 ore su 24 quando invece i programmi della Rai coprivano al massimo 3-4 ore al giorno, riversarono un’infornata di canzoni in ogni comune d’Italia: la gente ascoltava per la prima volta James Taylor, Jackson Browne, Aretha Franklin, Otis Redding, Carole King, artisti mai sentiti se non forse a ‘Per voi giovani’», dieci anni di musica di una Rai avanguardista, dal 1966 al 1976.
Con le radio libere non più ‘pirata’, con la liberalizzazione dell’etere sancita nel 1976 dalla Costituzione, nasce anche una professione che ancora non esisteva e che si faceva molta fatica a comprendere: «Cominciarono piano piano ad apparire i primi disc-jockey; alcuni avevano come punti di riferimento Renzo Arbore e Gianni Boncompagni di ‘Alto Gradimento’, altri Carlo Massarini e Paolo Giaccio di ‘Per voi giovani’. La quantità di ragazzi che si affollarono davanti al microfono fu imponente come una chiamata alla leva universale. Tutti volevano fare la radio».
È grazie a questi divulgatori, in Italia come altrove, che di musica si è iniziato anche a parlare, e ancora si parla. Accanto alle biografie obbligate dei grandi della letteratura, oggi scorrono quelle dei grandi della musica, leggera ma non troppo, popolare, anche popolarissima. «Oggi più che mai», aggiunge Mancinelli, «grazie anche a internet, ai motori di ricerca che ci permettono di scoprire aneddoti, dettagli o intere storie che se ne stavano nascoste dietro alle canzoni, e che ora le rendono ancora più affascinanti».
Per esempio: «Giorni fa leggevo di ‘Human Nature’ di Michael Jackson, che doveva finire nel quarto album dei Toto (‘Toto IV’, in quanto scritta da Steve Porcaro, tastierista, ndr); vista l’abbondanza di potenziali successi contenuti in quel disco, i Toto la tennero da parte; David Paich (pianista e tastierista, ndr) la fece quindi ascoltare a Quincy Jones (produttore di ‘Thriller’, ndr), che rimase estasiato; Quincy Jones la propose a Michael Jackson che rimase ancora più estasiato, e visto che i Toto suonavano nel suo disco, decise di metterla in ‘Thriller’ e si rivolse a loro dicendo: "Dovete sentirvi liberi. Sentitevi liberi come Michelangelo nella Cappella Sistina". Quella canzone, già coinvolgente di suo, con questo racconto diventa ancor più coinvolgente. L’evoluzione della comunicazione, oramai a tappeto, ci consegna stati d’animo che rendono le canzoni ancora più affascinanti».
Cosa si racconterà, dunque, in ‘Di tutto un pop’? Di quali artisti è importante parlare? «È importante parlare di tanti artisti che hanno scritto canzoni che non ti stanchi mai di ascoltare. Billy Joel, McCartney, i Genesis prima e seconda maniera, Michael Jackson negli anni più importanti della sua vita, Aretha Franklin, Ray Charles, brani che ancora oggi sono in grado di suscitare emozioni».