Venezia 79

Ultimo film, in attesa di un Leone

L’ambizioso ma debole ‘Chiara’ di Susanna Nicchiarelli, il migliore ‘Les Miens’ sugli immigrati, e ‘Non ci sono orsi’, dell’imprigionato Jafar Panahi

Julianne Moore in testa, in difesa di Jafar Panahi
(Keystone)

Mentre la Mostra cerca il Leone d’oro e intanto ognuno dice il suo e si riesce a trovare ogni titolo – come in Italia esistono le previsioni sul nuovo governo – il sentore principale è quello che i pochi film buoni visti in concorso non saranno premiati. E pensiamo a ‘The Whale’ di Darren Aronofsky, a ‘Saint Omer’ di Alice Diop, ‘Bardo, Falsa Crónica De Unas Cuantas Verdades’ di Alejandro G. Iñárritu e a ‘Les Enfants Des Autres’ di Rebecca Zlotowski. Infatti, chi si fida più di una giuria corruttibile in quanto umana? Ognuno sa che niente è più legato al piacere personale che una giuria, anche perché il cinema non è un incontro di boxe né un gran premio di Formula uno, ma piuttosto un incontro tra menti che hanno ognuno la propria idea di cinema, è al Festival è ancora peggiore che all’Oscar dove prevalgono le ragioni commerciali, che sono le stesse che ogni premio nazionale porta con sé. Purtroppo il cinema non è comprensibile se deve andare in tv o in qualche piattaforma o in sala, o restare nascosto come succede alla maggior parte dei film presentati qui a Venezia, quei film che non avevano un divo o una diva da sacrificare ai media.

La Santa

Intanto sono passati gli ultimi tre film in concorso: ‘Les Miens’ di Roschdy Zem, ‘Chiara’ di Susanna Nicchiarelli e l’atteso ‘Khers Nist’ (No Bears) di Jafar Panahi, tre film molto lontani tra loro come struttura e linguaggio e anche come capacità narrativa. Di sicuro il più debole dei tre è il più ambizioso, la ‘Chiara’ di una regista che abbiamo molto apprezzato al suo primo lungometraggio, ‘Cosmonauta’, del 2009, vincitore del premio Controcampo qui a Venezia. Ora Nicchiarelli tenta una strada per raccontare una storia del 1200, quella di Chiara d’Assisi vissuta ad Assisi tra il 1194 e il 1253 cui si ispirò Ottorino Respighi per il suo ‘Il mattutino di Santa Chiara’ e che in Italia è famosa per una canzone che non parla di lei: ‘Monastero di Santa Chiara’, di cui fu fatto un film nel 1949. In questo film la Signora Nicchiarelli cerca una propria strada per dire della Santa trasformando il suo dire in un musical di basso rilievo soprattutto per le musiche, e nel tentativo di fare di Chiara una proto femminista cade nel peccato di trasformare San Francesco nel primo maschilista. È nel contrasto apertamente politico e non poetico che scade il film, rinunciando ad approfondire la mistica figura di un passato ormai remoto e difficile da comprendere per la sua immensa fede.

Quella strana, amara prigionia

Ben meglio ‘Les Miens’, in cui il bravo attore francese, qui in doppio ruolo di regista e interprete, Roschdy Zem affronta un tema fondamentale per il futuro europeo, quello dei protagonisti della seconda generazione d’immigrati sulle nostre sponde, il loro essere più integrati dei loro genitori, ma anche il loro dilaniante conflitto tra l’essere immersi nella civiltà occidentale e il deciso non rinunciare ad ancestrali immaginazioni, un problema che investe soprattutto il mondo femminile, costretto a essere sempre nato dalla costola di Adamo. In un altro territorio ancora ci ha portato Jafar Panahi con il suo ‘Non ci sono orsi’, film ancora girato in quella strana prigionia amara in cui lo tengono in Iran. In questo film, egli dichiara di non voler fuggire, reclama l’arretratezza culturale del suo popolo, incapace di uscire da schemi ormai vetusti capaci solo di generare morte e il trionfo dell’odio e la trasformazione in carne del reparto femminile della società. Un film carico di violenza, anche espressiva, carico di nero disprezzo verso un popolo imbarbarito e incapace di una sincera opinione. Forse il più negativo film di Panahi, un film che si chiude con una doppia morte femminile per suicidio, la prima donna che si sente tradita dall’uomo che ama, dopo essere stata torturata e violentata, e l’altra uccisa per aver voluto amare chi amava e non chi voleva possederla, e non ci sono una Ofelia o una Giulietta in scena, ma la vita di ogni giorno.

Fuori concorso è passato il provocante ‘Nuclear’ di Oliver Stone, un film dichiaratamente favorevole alle centrali nucleari ma incapace di uscire dal facile dire "io la penso così chi la pensa diversamente è pagato da qualcuno". E per perorare la sua idea, Stone si dimentica di fare un film, e annoia. Peccato, il tema era importante.