In ‘Da un cielo all’altro’, nel sabato del Centovalli Festival Camedo, Giampaolo Gotti rilegge l’incompiuto, unione tra mondi solo apparentemente lontani
«Caro Eduardo, eccoti finalmente per iscritto il film di cui ormai da anni ti parlo. In sostanza c’è tutto. Mancano i dialoghi, ancora provvisori, perché conto molto sulla tua collaborazione, anche magari improvvisata mentre giriamo». Firmato Pier Paolo Pasolini. L’incipit di una lettera del settembre 1975 è una testimonianza dell’amicizia tra due mondi apparentemente lontani e insieme quella di un’occasione persa. Prima di morire tragicamente, cinque mesi dopo quelle parole, Pasolini stava rifinendo il suo ‘Porno-Teo-Kolossal’, opera cinematografica incompiuta che – nelle intenzioni dell’autore – avrebbe dovuto chiudere la sua carriera di regista poco dopo ‘Salò o le 120 giornate di Sodoma’. Pensato nel 1966 per Totò alla maniera di ‘Uccellacci e uccellini’ (ma il grande attore mancò l’anno dopo), ‘Porno-Teo-Kolossal’ prevedeva Eduardo nei panni del Re Magio Epifanio, che in compagnia del servo Nunzio (Ninetto Davoli) si reca da Napoli a Betlemme sbagliando strada, e arrivando in enorme ritardo: qualcuno gli dice che il bambinello è morto da tempo e nessuno si ricorda più chi sia; il Re Magio, sconvolto, muore per la disperazione e il servo divenuto angelo lo porta in cielo dove, peggio ancora, non c’è nulla.
«Una delle ragioni che mi hanno spinto a studiare le opere di Pasolini è stata la sua attrazione per Totò, e quel che in un secondo tempo avrebbe tentato di realizzare, invano, con Eduardo. Mi ha attirato l’idea di Pasolini di legare la cultura così come lui la concepiva a un mondo popolare ereditario di una precisa coscienza politica, annegata nel capitalismo che stava piombando sull’Europa in quegli anni. Tutto questo mi ha aiutato a cercare e a trovare, senza conoscerlo in anticipo, questo copione mai veramente scritto, questa sorta di ‘racconto di Natale’ alla maniera di Pasolini, con i suoi ‘dada’ e la sua sensibilità».
Sabato, all’interno del ‘Centovalli Festival Camedo - Volare via o rimanere?’, dal 22 al 24 aprile liberamente ispirato al tema della migrazione delle rondini, Giampaolo Gotti, attore e regista, docente all’Accademia Dimitri, porta in scena ‘Da un cielo all’altro’, personale adattamento di ‘Porno-Teo-Kolossal’, narrazione itinerante (meteo permettendo) attraverso i cinque luoghi del viaggio di Eduardo trasposti nelle altrettante capanne degli attrezzi antistanti alla ferrovia di Camedo.
Pur molto lontano dal suo, fondato sulla parola, sui miti antichi, il teatro popolare di Eduardo toccava Pasolini, che in esso vedeva qualcosa di estremamente genuino al quale riannodarsi. Vedeva nella commedia napoletana una forma di resistenza al livellamento generale che lui addossava alla televisione: se la televisione aveva insegnato agli italiani a parlare l’italiano, l’italiano trasmesso alla televisione aveva abbassato il livello di guardia; quello che il fascismo non era riuscito a fare, l’aveva fatto la televisione. Questo era il paradosso che Pasolini sosteneva. All’inizio farò sentire la sua voce mentre detta al magnetofono questo racconto, e alla fine dello spettacolo quella di Eduardo che risponde a una domanda sulla morte del poeta. L’amicizia inaspettata tra i due ha portato a questa occasione mancata.
Il percorso del Re Magio Eduardo avrà un corrispettivo a Camedo…
Se il tempo lo permetterà, ci muoveremo tra cinque ‘stazioni’, corrispondenti alle città attraversate da Eduardo per raggiungere, in ritardo e completamente derubato dei suoi doni, la Terra Santa senza più il bambinello. Il nostro percorso inizierà da Napoli, dove nasce il racconto, per spostarsi nella Roma immaginata da Pasolini negli anni 50, dove vige un’impostazione di regime omosessuale, fino alla Milano dei Settanta, eterosessuale, due regimi che richiamano l’uno Sodoma e l’altro Gomorra, per arrivare a Parigi, dove la città socialista è assediata da truppe fasciste: qui la trovata del poeta, socialista, è quella di un suicidio collettivo della sinistra per resistere al fascismo da cui è circondata, qualcosa di stupefacente pensando ai giorni che viviamo. Fino ad arrivare a Ur, città dell’antico Medio Oriente, terra promessa nella quale Eduardo non riuscirà a trovare il bambino da adorare, perché in ritardo di secoli.
C’è una seconda figura popolare lungo il suo racconto: Angelo Branduardi e le sue musiche.
Branduardi è una scelta mia, mi pare bello prolungare la nota narrativa, anche favolistica di questo racconto, non certo per chiudere gli occhi sull’aspetto politico del discorso, che arriverà in un secondo tempo, ma per lasciare spazio nell’immediato all’immaginazione, al sogno, dovendo e volendo raccontare a un pubblico di livelli diversi, di bambini e di adulti, composto da chi ama l’approfondimento e chi invece preferisce il solo aspetto narrativo. Di questi 35-40 minuti, anche grazie alla musica, ciascuno potrà prendere quel che gli piace.
Come nasce il suo interesse per Pasolini?
La prima cosa che mi viene in mente è ‘Teorema’, in cui si narra dell’arrivo in una famiglia borghese di un uomo che fa innamorare uno alla volta tutti i componenti. Una visione simbolica, almeno per me, di un essere umano che arriva a sconvolgere lo status quo, una specie di angelo annunciatore di un’altra vita, di un altro mondo. So che all’epoca dell’uscita fu pesantemente contestato e, paradossalmente, l’unica voce che si alzò a sostenere quel film fu la Civiltà Cattolica, rivista che aveva dato una propria lettura simbolica.
E per il suo teatro?
Ho vissuto per una ventina d’anni in Francia, constatando più attenzione verso il teatro di Pasolini che non in Italia, dove invece prevale il suo cinema. Pasolini auspicava la transizione da un teatro da vedere a uno da ascoltare, in cui l’orecchio, più che l’occhio, doveva avere priorità. E nei suoi confronti, non so se c’entri lo spirito mediterraneo, in Italia l’aspetto visivo è stato sempre preponderante. L’Italia presta in generale meno attenzione ai classici di quanto non accada per Racine o Corneille nel teatro francese, per non parlare di quello anglofono con Shakespeare e il teatro elisabettiano.
Credo sia importante il tornare alla parola, una parola non necessariamente intellettuale ma anche solo carnale, fisica, gaudente, riscoperta utile anche per un teatro popolare. I cent’anni dalla nascita di Pasolini, al di là dell’evento cruento e tragico del finale di vita, ci dicono quanto sia utile tornare alle sue parole, alla sua libertà e alla sua solitudine per le posizioni prese, invise tanto al cattolicesimo quanto al comunismo, in un percorso abbastanza solitario. Questo non aver paura della solitudine credo sia una delle migliori eredità lasciateci.
Ti-Press
Giampaolo Gotti, attore e regista, docente all’Accademia Dimitri