Una serata da applausi, dal minuto di silenzio per le vittime della guerra in Ucraina all’ovazione meritatissima alla cornista Zora Slokar
Quando il Konzertmeister attendeva il silenzio completo del pubblico per l’ultima intonazione dell’orchestra, una voce a metà sala ha invocato un minuto di silenzio per le vittime della guerra in Ucraina. C’è stato un applauso, il minuto di silenzio poi tutto è seguito secondo programma, con opere di due compositori russi.
Scrivo queste righe poche ore dopo il concerto, quando l’articolo apparirà non saranno più aggiornate, ma l’urgenza di stare alla larga dalla Russia è palese, anche nelle due opere che l’Orchestra della Svizzera italiana ha eseguito giovedì sotto la direzione del polacco Krzysztof Urbański, con solista di violoncello l’austro-iraniano Kian Soltani.
Il ventottenne Igor Stravinskij creò la musica del balletto ‘L’uccello di fuoco’ a Parigi, nel 1910, lontano da San Pietroburgo, dove era nato e dove ancora regnava lo Zar Nicola II. Ne trasse poi alcune suite per orchestra, l’ultima in America nel 1945, quella eseguita giovedì al Lac.
Il cinquantatreenne Dmitri Sostakovič compose il suo primo concerto per violoncello in condizioni di spirito migliorate, perché da sei anni ormai era morto il dittatore Stalin. Lo dedicò a Mstislav Rostropovič, che ne diede la prima esecuzione in Russia, ma un mese dopo lo eseguì in America con l’Orchestra di Philadelphia diretta da Eugene Ormandy.
Il primo concerto per violoncello penso sia l’opera dove Sostakovič fa il maggior uso del suo crittogramma Dsch. Le quattro note re-mi bemolle-do-si naturale sono ripetute con insistenza aggressiva dalla prima battuta dell’allegretto iniziale, poi sono sommerse, ma riaffiorano durante i trenta minuti del concerto e con tutta evidenza nella battuta finale. Kian Soltani li ha resi con una stupefacente cantabilità, quasi un’esibizione dei colori timbrici che sa cavare dal suo prezioso strumento, alla quale hanno risposto con pertinenza gli interventi solistici dei fiati e del corno. Erano 34 gli archi dell’Orchestra, ai quali è toccato l’attacco del tempo lento sotto il gesto contenuto, ma preciso di Krzyztof Urbański. Il suono del violoncello si è staccato nitido dall’orchestra, nel dialogo con i fiati, nei sopracuti accompagnati dai rintocchi della celesta, i momenti più lirici del concerto capaci forse di evocare quella malinconia dell’animo slavo, per possederne un briciolo della quale Nietzsche avrebbe dato tutta la sua cultura occidentale. Durante la lunga cadenza dove il solista esce dal momento introverso del tempo lento, riprende il DSCH e lancia l’allegro con moto finale, il direttore è addirittura sceso dal podio: un omaggio alla musica o al solista?
Nello stesso 1910 in cui Stravinskij si fa conoscere con ‘L’uccello di fuoco’, Vasilij Kandinsky, nato a Mosca, termina il suo libro ‘Lo Spirituale nell’arte’ a Murnau in Baviera, Picasso ha dipinto da poco ‘Les demoiselles d’Avignon’, Joyce si appresta a scrivere il suo ‘Ulisse’… il mondo sta andando verso la prima guerra mondiale.
Krzyztof Urbański ha diretto senza spartito un’orchestra di soli 57 strumentisti, ma perfettamente dimensionata anche per ‘L’uccello di fuoco’. È stata una lettura molto analitica della partitura che ha prodotto un’esecuzione a tinte pastello, ma non è mancato l’impeto dei colpi di gran cassa, che da un secolo fanno sobbalzare i monili sulle scollature delle signore tra il pubblico di tutto il mondo.
Il pubblico di Lugano ha gratificato gli interpreti di applausi interminabili. Ricorderò l’ovazione meritatissima alla cornista Zora Slokar, chiamata in primo piano dalle partiture delle due opere di Sostakovič e Stravinskij. Ricorderò soprattutto il messaggio criptico che le due opere mandano in questo tragico momento: state alla larga dalla Russia.