Al Teatro Sociale uno spettacolo atteso tre anni, per la regia di Flavio Stroppini, con Margherita Saltamacchia e Rocco Schira. Dal 7 al 12 dicembre.
Il pensionato basilese Geiser (Rocco Schira) vive tutto solo in una valle ticinese (Onsernone); la sola ad avere rapporti di umana frequentazione con lui è la figlia Corinne (Margherita Saltamacchia). Geiser si ritrova nel mezzo di una parallela e contemporanea erosione, quella provocata dall’alluvione che ha isolato la valle e quella che sta sgretolando la sua memoria; una piccola, generale apocalisse cui l’anziano tenta di porre rimedio con curiosi espedienti da una parte, e dall’altra, l’apocalisse personale, raccogliendo materiali, informazioni, tracce, foglietti, singole memorie di una bizzarra e (negli intenti) definitiva ‘enciclopedia umana’ tramite la quale esorcizzare l’inevitabile dissoluzione di corpo e mente.
È una prima assoluta quella di ‘Olocene’, coproduzione Teatro Sociale Bellinzona - Bellinzona Teatro e NucleoMeccanico.com che porta in scena il romanzo ‘L’uomo nell’Olocene’ di Max Frisch, il più ticinese dei romanzi dello scrittore svizzero-tedesco, ancor più affascinante se collocato nell’odierno momento di emergenza sanitaria e ambientale. L’adattamento teatrale si deve a Flavio Stroppini, anche regista, e Monica De Benedictis, anche scena video, con l’antico affiatamento tra Saltamacchia e Schira sollecitato all’estremo, anche tecnicamente, dall’impostazione data da Stroppini al tutto.
‘Olocene’ nasce nel 2019; arriva al previsto debutto del 2020 attraverso vari e articolati travagli; viene posticipato dalla primavera 2020 a quella del 2021 per ovvi motivi, e poi bloccato di nuovo. Martedì 7 dicembre alle 20.45 debutta a Bellinzona, con repliche da giovedì 9 a domenica 12 (quest’ultima alle 17). Gianfranco Helbling, direttore del Teatro Sociale, riassume la ‘ticinesità’ dell’opera, letteraria e teatrale, e del cast, fortemente bellinzonese (Stroppini, Saltamacchia e il «predestinato» Schira, vedi in seguito). «L’attenzione alla territorialità da parte nostra è alta, ma non è un mantra obbligatorio», dice aprendo la conferenza di presentazione, chiamando in causa Dürrenmatt – ‘Mein Fritz, il mio Leo’, in scena un mese e mezzo fa – e ‘L’epidemia’ di Agota Kristóf, a Bellinzona nel 2020, per rimarcare il «ruolo importante di un teatro svizzero di lingua italiana nel favorire la presenza anche di autori di altre lingue»
Tutto ciò che porta a ‘Olocene’ a partire dal romanzo sta nel ricco libretto di sala aperto da un ‘Max Frisch, finalmente’, con ampia parentesi su Armand Schulthess, eremita che visse nei luoghi di Frisch e che all’età di 50 anni lasciò la sua scrivania da funzionario federale a Berna per ritirarsi ad Auressio e dedicare il resto della sua vita a un giardino enciclopedico (18mila metri quadrati, un campione del quale è conservato al Monte Verità, il resto è cenere) che tanto richiama le abitudini del vecchio Geiser (e il motivo c’è). Il resto lo dice lo spettacolo; qualcosa hanno detto ieri i protagonisti.
«Abituato a scrivere con Monica De Benedictis, giocare con le regole di qualcun altro è stata una sfida arricchente», spiega Flavio Stroppini, trovatosi di fronte a «un testo non narrativo che è a tutti gli effetti una sequenza di elenchi e al quale, adattandolo, non abbiamo aggiunto altre parole se non ‘papà’». Perché l’isolamento di Geiser, sulla scena, è stato affidato alla figlia Corinne: «Ho deciso di farlo raccontare a lei, in un luogo intimo, non reale, un luogo della memoria», dominato da tre funzionali schermi/finestre/ponti verso l’esterno/interno, in trasparenze anche e soprattutto temporali. «Due mondi comunicanti intervallati da schermi di plexiglas, tre spazi dentro i quali appaiono dettagli reali della Valle Onsernone, un tentativo di ricreare il mondo in cui Geiser si muove, sempre accompagnato dalla struttura tipicamente nostra, che non è una scenografia, non è un fondale, ma qualcosa che sia parte integrante della narrazione». Così è, altrettanto, la musica non didascalica di Andrea Manzoni, composizioni originali che usciranno presto a sé, pubblicate dalla parigina Another Music Records.
È in questo luogo, in questa dimensione – che agli attori impone movimenti al centimetro – che i discorsi di Geiser si sovrappongono a quelli della figlia e viceversa. A questo proposito, la figlia: «Flavio ha creato una bellissima difficoltà», spiega Margherita Saltamacchia. «Per tutto il tempo dello spettacolo, io e Rocco non siamo mai in relazione; Geiser si uniforma al flusso di parole di Corinne, una modalità interessante che mi porta a uscire dalla mia comfort zone narrativa. Ho letto, riletto, studiato il testo, che è andato a mescolarsi con accadimenti miei personali e questo drammatico tentativo di Geiser di volersi aggrappare alla memoria non smette di colpirmi. Quando un essere umano sta per morire, sente la necessità di doverti raccontare i punti salienti della propria esistenza, tutto ciò che non ha detto, un tentativo disperato, quasi ironico di chi non vuole andarsene e affida alla memoria di altri la propria vita. “Senza memoria non si sa niente”, dice Geiser a un certo punto, e così è effettivamente. La memoria è elemento vitale anche per chi sta in vita. Io mi ci ritrovo».
Valerio Casanova / TSB
Margherita Saltamacchia
Sul palco, voluto da Stroppini, c’è un Geiser giovane, che non è un’assurdità per uno scrittore che inizia a comporre il suo ‘Olocene’ poco più che 60enne, ma soprattutto perché «nella memoria siamo assenza, perché dei personaggi ricordiamo un’immagine della loro vita che non è di solito quella conclusiva, un’immagine che di essi diventa l’essenza. E Geiser – conclude il regista – è personaggio giovane, vivo, che ha speranze, che guarda avanti, nonostante tutto quel che gli capita».
Geiser, come detto, è Rocco Schira, la cui casa di famiglia in Val Onsernone è a nemmeno venti metri da casa Frisch, a Berzona, 48 anime aggiornate a oggi. «Sono rimasto spiazzato dal compito d’imparare una serie d’informazioni che, leggendo qualsiasi libro, sono solitamente quelle parti che si saltano – spiega Schira – e che questa volta, di colpo, si sono trasformate in una priorità della quale assumersi responsabilità di fronte a un pubblico pagante. Informazioni che non avevano alcuna connessione con me e che io avrei dovuto trasferire e possibilmente amare». Anche da Schira arrivano indicazioni di «un testo quanto mai contemporaneo, portatore di un rapporto con la natura senza età: arriva un’epidemia e, l’opera ce lo riconferma, siamo impreparati. E lo saremo sempre, a ogni nuova catastrofe».
Valerio Casanova / TSB
Rocco Schira
Chiudiamo con Helbling, che chiude con Frisch. «Questo ‘Olocene’ è anche una ‘prima’ assoluta in lingua italiana. Max Frisch è scomparso dai cartelloni italiani e questa è cosa strana, visto che nell’Europa di lingua tedesca e in alcuni Paesi dell’Est è presente con molti suoi titoli. ‘Olocene’ è stato allestito più volte alla Schauspielhaus di Zurigo, da lì a Berlino, fino a ottenere il premio come miglior spettacolo svizzero dell’anno 2020, vincendo il pregiudizio dell’essere, quello de ‘L’uomo nell’Olocene’, accolto all’inizio assai tiepidamente, un Frisch troppo privato e poco politico. Ora, al contrario, su quello più politico l’attenzione sta progressivamente calando, in luogo di una rivalutazione dei suoi contenuti più esistenziali».
L’‘Olocene’ del Sociale è dunque anche una piccola scommessa nemmeno troppo programmata, quella di riaccendere i sopiti animi italiani per un autore la cui ultima edizione italiana, quanto a ‘L’uomo dell’Olocene’ – ce lo ricorda Stroppini –, risale a una specie di Olocene, i lontani, lontanissimi, per urgenza di contenuto, anni 90 (www.teatrosociale.ch).
Valerio Casanova / TSB