La recensione

Osi al Lac: il romanticismo tedesco

François Leleux non oltre una piatta lettura delle tre opere in programma. Serva da stimolo per un cambiamento di rotta. Ma Sergej Krylov è poesia

François Leleux e l’orchestra
28 novembre 2021
|

Come, quando è cominciato il romanticismo? Con i peccati di gioventù di Goethe coinvolto nello ‘Sturm und Drang’? Con l’ottimismo titanico di Beethoven? Ricordo un’affermazione di Piero Bianconi, storico dell’arte: è cominciato con la Pietà Rondanini dove Michelangelo ha portato a compimento la tecnica del non finito. Funziona quasi sempre intendere romanticismo come sinonimo di cambiamento, in filosofia ricondurlo all’antonimia che trascorre nel pensiero occidentale da due millenni e mezzo, da Parmenide ed Eraclito, tra la realtà dell’essere e la realtà del divenire; rivista e corretta tre secoli e mezzo fa dal panteista Spinoza che afferma essere il desiderio l’essenza dell’uomo, lo sforzo con cui persevera nel proprio esistere.

Giovedì scorso il concerto dell’Orchestra della Svizzera italiana diretta da François Leleux è iniziato con l’ouverture del ‘Freischütz’ di Carl Maria von Weber (1786-1826) e terminato con la terza sinfonia di Johannes Brahms (1833-1897), due composizioni significative dell’alba e del crepuscolo del romanticismo tedesco, capaci di invogliare alle riflessioni filosofiche, anche perché la nostra orchestra ci ha da tempo mostrato di saper cavare da qualsiasi partitura le seduzioni ineffabili che trasformano l’esecuzione in interpretazione.

Non è stato così questa volta: Leleux non ha trovato il tempo d’andar oltre una lettura alquanto piatta delle tre opere in programma. Un vero peccato, ma forse uno stimolo per un cambiamento di rotta, perché invitare direttori, seppur prestigiosi, a dirigere un solo concerto con appena due o tre giorni di prove sa tanto di appuntamento commerciale, poco di evento culturale. Dell’orchestra abbiamo comunque potuto apprezzare la qualità degli interventi solistici e in Brahms, oso dire, un’autorevolezza da prestigio acquisito, con la bella trasparenza dei soli 34 archi contrapposti ai 18 fiati richiesti dalla partitura.

Momento saliente del programma era tuttavia il concerto per violino e orchestra n. 5 di Niccolò Paganini (1872-1840) con solista Sergej Krylov; senz’altro la ragione di una sala esaurita, a meno dei posti lasciati vuoti dagli abbonati che forse per la stessa ragione sono stati via. È difficile collocare nella temperie romantica il funambolismo clownesco di Paganini, che pur ha avuto il merito di ampliare le possibilità espressive del violino.

Sulla vastissima scena dove passa la musica classica occidentale ci sono oggi molti violinisti di assoluto valore. Pochi di loro penso hanno affrontato la musica di Paganini e raggiunto una disinvoltura tecnica che consente anche di cavarne palpiti di vera poesia come Krylov. Nella Sala teatro del Lac l’orchestra, che ha comunque una parte subordinata, l’ha assecondato con impegno, forse ne ha talvolta coperto un po’ il suono. Il pubblico l’ha seguito con il divertimento e lo stupore che procurano gli spettacoli circensi, l’ha applaudito con ovazioni fragorose com’è costume nel teatro lirico in area latina.

Sergej Krylov ha concesso allora fuori programma il Capriccio n. 24 e, penso, sia stato il momento migliore del concerto. Una musica eseguita su quattro corde richiama l’idea dell’intimità cameristica. Qualche problema ci deve essere in una sala di mille posti. In dodicesima fila l’ho seguita molto bene.