Il regista ucraino ha diretto, dal campo di prigionia russo, un film distopico e surreale
“Una distopia, buffa e grottesca. Dieci personaggi numerati, strani e ridicoli, bloccati in un mondo estraneo, controllato da un Dio stupido e annoiato”. A descrivere così ‘Numbers’ è lo stesso regista Oleh Sencov in una delle lettere scritte durante la prigionia in Siberia. Arrestato nel 2014 dai servizi segreti russi, il cineasta ucraino è stato condannato a vent’anni di detenzione per terrorismo e questo film è nato nel gulag dove era rinchiuso e da dove, a distanza, lo ha diretto prima della sua liberazione, nel 2019, nell’ambito di uno scambio di prigionieri tra Russia e Ucraina.
Che tipo di film si può dirigere in una situazione simile? In apparenza ‘Numbers’ è imparentato alle distopie figlie di ‘1984’, con individui privati della propria personalità e controllati da un potere superiore, tra il politico e il religioso. Ma forse i riferimenti migliori per comprendere questo film è il teatro dell’assurdo: Beckett e Ionesco più di Orwell. ‘Numbers’ è del resto stato inizialmente concepito come pièce teatrale e questo è particolarmente evidente nella prima parte del film, più teatrale che cinematografica. Quello di Sencov è un cinema dell’assurdo nato dall’insensatezza della vita in un gulag, come il teatro dell’assurdo era nato dall’insensatezza della vita in guerra.
Il numero che identifica i personaggi stabilisce la loro gerarchia ma tutti, incluso il potente Primo, ubbidiscono al regolamento, alle procedure che arrivano dal Grande Zero. Ma le regole di questa sorta di divinità – che vediamo guardare e controllare tutto dall’alto, comandando due guardie armate chiamate Giudici – sono senza senso: corse e pasti con rituali prestabiliti, recinzioni che separano dispari e pari (ovvero uomini e donne). Tutto è ordinato e insensato, ma i dieci numeri si adeguano, si adattano alle regole talvolta inventandone di nuove, tanto nessuno ricorda tutte le procedure elencane nel librone che Primo stesso non legge più. Qualcuno prova a mettere in discussione le regole, a chiederne le ragioni, a proporre per una volta di correre in senso orario anziché antiorario, ma viene subito richiamato all’ordine – dai compagni e dai Giudici.
Ma 7 e 4, amanti non autorizzati, vanno oltre: dalla loro relazione clandestina nasce un figlio, 11, che sovverte tutto. La situazione degenera e i riferimenti religiosi si fanno ancora più marcati, 11 si dice “figlio del Grande Zero”, portatore di un nuovo ordine, ma i dieci capiscono che questo Grande Zero in realtà non esiste, che sono liberi di scegliersi un nome e un destino. Un epilogo amaro mostra come finirà questa libertà.