In concorso sono arrivati film importanti come ‘L’événement’ della francese Audrey Diwan e ‘La caja’ del venezuelano Lorenzo Vigas
Una bellissima giornata in concorso apre l’ultima settimana di questa Mostra protetta da un sole più caloroso del solito. Ci siamo trovati davanti a due lavori che puntano dritti ai premi, non per il tappeto rosso ma per la qualità: ‘L’événement’, opera seconda della francese Audrey Diwan e ‘La caja’ del venezuelano Lorenzo Vigas che torna a Venezia per bissare quel Leone d'Oro che ha guadagnato nel 2015 con ‘Desde allá’.
‘L’événement’ ci porta nella provincia francese del 1963 per farci conoscere Anne (una stupefacente Anamaria Vartolomei), promettente studentessa di Lettere. I suoi genitori, osti di campagna, sono orgogliosi di lei e lei non vuole finire dietro i fornelli com’è successo a troppe sue amiche. Prima della classe, i suoi risultati peggiorano quando scopre, con orrore, di essere incinta di un ragazzo che vive molto lontano da lei. Decide di abortire, ma nessuna e nessuno la vuole aiutare per non finire in prigione come complice dell’aborto. Lei non dice niente ai genitori, un amico la porta da una ragazza che ha già abortito clandestinamente e che le indica una donna che può interrompere la sua gravidanza ormai giunta ai tre mesi. La regista chirurgicamente la segue nella sua dolorosa passione, dottori che la imbrogliano, un mondo che aspetta solo di condannarla, il primo tentativo che non funziona e il secondo che quasi la uccide di dolore, l’aborto e il feto già formato che penzola sul water e un’amica pietosa che con una forbice le taglia il cordone ombelicale, e lei che sanguina pesantemente, sviene e viene portata in ospedale, salvata dal carcere da un dottore che dichiara aborto spontaneo. E finalmente l’esame e il cammino che continua. A un professore che le chiede cos’ha avuto risponde: cose che non succedono agli uomini. Film prezioso nella sua decisa condanna a un mondo che si regge nell’ipocrisia dei rapporti tra maschi e donne, in una situazione di assoluta lontananza che Anne vive sulla pelle, con un amico che le dice facciamo l'amore tanto sei già incinta, con quello che l’ha messa incinta che si stupisce perché non ha già abortito, con molte compagne che la pensano puttana. Un film che emoziona e conquista, obbligatorio da vedere.
Lo stesso obbligo vale anche per ‘La caja’ e non solo per la perfetta e lucida regia di Lorenzo Vigas o per la scoperta di un giovane grande attore, il protagonista Hatzín Navarrete. Il film nasce da una precisa idea dell’autore: in Messico e nel resto dell’America Latina in molte famiglie manca la figura paterna e “anche l'identità del nostro continente è collegata a questa realtà, non è un caso infatti che in America Latina fenomeni come il peronismo o il chavismo abbiano lasciato un segno sociale, politico e umano così profondo: la figura del leader ha finito per riempire, da un punto di vista psicologico, quel vuoto”. Un adolescente di Città del Messico è in viaggio per recuperare i resti del padre trovati in una fossa comune; vive con la nonna, sua madre è morta, gli mettono tra le mani una cassa metallica che contiene i resti del padre che non ha mai visto e i resti di una carta d'identità che egli fissa per bene. Mentre torna dalla nonna dal bus vede un uomo che è quello della carta d'identità: salta giù dal bus ma l'uomo nega di essere suo padre. Il ragazzo insiste, lui continua a negare ma lo prende come aiuto per il suo lavoro di caporalato per una grande industria tessile dove lavora una ragazza che l’adolescente adora per le sue battaglie contro lo sfruttamento. Una notte succede che il ragazzo e l'uomo si ritrovino a seppellire nel deserto un corpo avvolto in cellophane, il giovane pensa che sia la ragazza che protestava e cerca di avvisare sua madre; intanto, l’uomo gli confessa di essere davvero suo padre. Il ragazzo è sorpreso e come regalo uccide la madre della ragazza per evitare che denunciasse suo padre. Poi decide di lasciarlo e di tornare dalla nonna con la cassa che contiene i resti di un uomo: lo potrà seppellire come nel suo cuore ha già seppellito il proprio padre, un uomo che sfrutta, che ruba, che inganna, un uomo che non può amare. È un film che canta la bellezza del cinema e che resta specchio del nostro tragico vivere, incapaci come siamo di essere umani.
Fuori concorso una fastosissima commedia horror, ‘Last Night In Soho’ di Edgar Wright con una straordinaria Anya Taylor-Joy nella parte di una giovane modista che, partita dalla provincia per entrare in una scuola per stilisti nella Londra esplosiva degli anni Sessanta, si trova ad affittare la stanza dove una prostituta aveva ucciso decine di suoi clienti e a rivivere come incubo il suo destino. Il gioco è fragoroso e si salta volentieri in poltrona, ma come la protagonista ci stupiamo dell'enorme numero di donne uccise in quei ruggenti anni in cui il sogno di diventare famosi portava spesso su vie di enormi dolori. Musica perfetta per i tempi, bel ritmo e applausi meritati. Non convince, sempre fuori concorso, l’italiano ‘La scuola cattolica’ che il regista Stefano Mordini ha tratto dal romanzo che Edoardo Albinati ha dedicato al delitto del Circeo. Purtroppo il regista non riesce a entrare nel tema, resta in superficie e costella tutto di volgare picaresco con una madre che va a letto con un compagno di scuola del figlio, con un padre che lascia la famiglia perché omosessuale, con un altro che sogna di distruggere un parco per costruirci una villa e intanto si assicura che il figlio non sia espulso da scuola finanziandola, tutte macchiette. Una regia vuota di ogni idea di cinema, e il confronto con i film di cui abbiamo scritto prima mette a nudo la povertà cinematografica italiana.