Alla Mostra del cinema ‘Spencer’ di Pablo Larraín e ‘The Lost Daughter’ di Maggie Gyllenhaal. E il noioso 'Dune' di Villeneuve
La commedia è servita, in un Lido che trabocca di accrediti e pubblico: le proiezioni non sono sufficienti e allora tutti, per accaparrarsi gli ultimi posti, ne vanno alla ricerca anche durante le proiezioni, con conseguente ingorgo di telefonini accesi. Per rimediare, gli organizzatori si sono procurati migliaia di buste di plastica dove ognuno deve riporre il suo telefonino! Pazzesco, il Lido si è riempito di sacchettini di plastica: mentre Cannes pone tasse per la salvaguardia dell'ambiente, questa mostra veneziana non esita a inquinare, filosofie di diverse nazioni.
Per fortuna c’è il Cinema, e due film sono passati in Concorso capaci di far riflettere sull’originalità di essere donna e sul profondo divario che esiste tra i mondi femminili e maschili: ‘Spencer’ di Pablo Larraín e ‘The Lost Daughter’ di Maggie Gyllenhaal, qui alla sua opera seconda, dopo una fortunata carriera artistica condotta soprattutto in teatro.
‘Spencer’ di Larraín è un ritratto delicato e insieme puntuale di una leggenda, Lady D al secolo Diana Frances Spencer, da cui il titolo del film. Quel cognome, Spencer, imparentato nobilmente con la famiglia di Anna Bolena, la decapitata moglie del barbaro maschilista Enrico VIII: così sostiene il film che, fin dall’inizio, dichiara esplicitamente di non essere un biopic ma piuttosto una favola ispirata a una donna il cui funerale fu visto da oltre due miliardi di persone nel mondo. La Diana di Larraín è già madre. È una donna fragile, ma soprattutto inquietata dai suoi doveri istituzionali. Il regista si concentra su una festa di Natale in casa della Regina, dalla vigilia a Santo Stefano, il Boxing Day inglese. La vediamo arrivare in ritardo per il primo appuntamento regale alla guida della sua auto sportiva, incurante dei servizi di guardia e protezione, e da questo il regista la introduce nella favola strettamente privata che le ha, con delizia e malinconia, riservato. E il gioco è stupendo, anche per la bella recita di una fenomenale Kristen Stewart nel ruolo della protagonista. Non si dimentichi che Pablo Larraín è cileno, il suo sguardo in ambienti e situazioni è diverso da quello hollywoodiano o europeo, il risultato è un film che calibra bene il ruolo che nella vita della Principessa hanno avuto i luoghi e il loro peso nella sua esistenza. Larraín non si spaventa nel colorare ancor più di favola il suo narrare chiamando in scena la stessa Anna Bolena, amara consigliera, lei tradita dalla famiglia reale, e gli altri fantasmi giovanili di una appartenente alla famiglia reale che cercava solo la possibilità di mangiarsi hamburger e patatine con i propri figli. Di rilievo il lavoro ai costumi di Jacqueline Durran. Applausi meritati.
Applausi meritati anche per il coraggioso ‘The Lost Daughter’ di una Maggie Gyllenhaal, grande attrice al suo esordio come regista, a parte un episodio della serie tv ‘Homemade’. Qui offre a Olivia Colman il compito di confermarsi grande interprete portandola in un’isola greca nelle vesti di una professoressa universitaria che per la carriera ha abbandonato il marito e le due figlie. Come in ‘La Femme de nulle part’ di Delluc, la protagonista si trova a consigliare una giovane donna che vuole fuggire con il suo amante lasciando figlia e marito. È la storia di una donna che si ritrova sola in una vacanza che è solo un pretesto per piangersi addosso, ruba anche una bambola alla figlia della giovane donna, forse solo per far soffrire: “Sono cattiva”, confida a un uomo incontrato per caso. Ed è questa coscienza il baluardo che ha posto a tutte le sue giustificazioni. Infedele verso il marito, traditrice verso le sue bambine, felice di essere viva e capricciosa come una bambina che ruba la bambola all'amica per godersi da sola il dispetto. Come per Lady D è l’insoddisfazione di essere madri di fronte a un esempio di possesso maschile che ti concede solo di essere sbagliata. Il film è tratto dal romanzo ‘La figlia oscura’ di Elena Ferrante, leggendo il quale, ha dichiarato la regista, “mi sono sentita pervadere da una sensazione tanto strana e dolorosa quanto innegabilmente vera. Una parte nascosta della mia esperienza di madre, compagna e donna stava trovando voce per la prima volta. E ho pensato a come fosse entusiasmante e pericoloso dare vita a un’esperienza come quella non nella quiete e nella solitudine della lettura, ma in una stanza piena di esseri umani dotati di vita pulsante e sensazioni”.
Fuori Concorso è apparso l’attesissimo ‘Dune’ di Denis Villeneuve, una coproduzione tra Usa, Ungheria, Giordania, Emirati Arabi Uniti, Norvegia e Canada. Il film è tratto da quel ‘Dune’, primo capitolo del ciclo omonimo scritto da Frank Herbert che già aveva interessato il giovane David Lynch che ne aveva tratto un film di scarso successo economico. Denis Villeneuve ne propone una visione chiassosa, degna di un videogioco di vecchia generazione, ma soprattutto noiosa. Peccato, ma è solo la prima parte. Questo ‘Dune’ capitolo uno ci presenta la storia di Paul Atreides (l’intenso e attento Timothée Chalamet), figlio del duca Leto Atreides (Oscar Isaac) che ha accettato la gestione del pericoloso pianeta di Arrakis, noto come Dune, l'unica fonte della sostanza più preziosa dell’universo, “la spezia”. Paul giovane brillante e dotato di talento, nato per andare incontro a un destino più grande della sua immaginazione, con il padre e la madre (una bravissima Rebecca Ferguson) deve raggiungere il più pericoloso pianeta dell’universo per assicurare un futuro alla sua famiglia e al suo popolo, il padre muore, e lui e la madre affrontano il deserto e il resto succede nella seconda parte, qui ci si ferma all’incontro di Paul e sua madre con il popolo che poi comanderà. Poteva essere meglio.