Questa sera alle 21, nell'Agorà, la 'Blackstar Suite' del trombettista e compositore italiano, ispirata al testamento musicale dell'artista britannico.
Rilegge, compone e scompone ‘Blackstar’, il testamento musicale di David Bowie datato gennaio 2016 e consegnato al mondo poco prima della morte. Un lascito musicale e, insieme, un capitolo assai vicino al jazz dell’artista britannico. Questa sera alle 21, Giovanni Falzone – tromba, composizioni e arrangiamenti – con tanto di Mosche Elettriche – Valerio Scrignoli, chitarra elettrica; William Nicastro, basso elettrico; Riccardo Tosi, batteria – porterà nell’Agorà del Lac en plein air ‘Blackstar - Lettere a David Bowie’, personale rilettura di un’opera musicale che fu, non di meno, gesto mediatico spiazzante.
Giovanni Falzone e David Bowie: un rapporto fan-artista o musicista-artista?
Mi ritengo un cultore di musica e un apprezzatore della musica tutta. Bowie rientra tra gli artisti importanti per tutti, e lo è stato anche per me. Lo affronto non da fan, ma da musicista, per il suo far parte del mio personale background di qualche anno fa. In realtà, in occasione di questo ultimo lavoro si è riaperto quel ‘file’ d’amore giovanile che me l’ha fatto apprezzare ancora di più per essere ‘Blackstar’ frutto del suo lavoro con importantissimi musicisti jazz appartenenti alla nuova scena internazionale, tutti di altissimo rilievo. ‘Blackstar’ mi ha lasciato profondamente colpito, inclusa la storia che vi sta dietro, la consapevolezza della fine, l’artista che ha scelto di concludere in questo modo. Mi sono detto che avrei dovuto fare una cosa alla mia maniera.
‘Alla mia maniera’ significa i pari tributi a Jimi Hendrix del 2010 e ai Led Zeppelin nel 2017, il tuo recuperare il mondo del rock partito in tempi non sospetti...
Sì. In questa fase sono andato a recuperare i ricordi delle cose che più mi piacevano in veste di ascoltatore. Ora li ho rimaneggiati e rivalutati con l’orecchio e l’esperienza di chi ha condotto una vita dentro la musica, passando anche un’esperienza decennale in quella sinfonica. Mettendo insieme tutto, ho capito che la musica che a me veramente interessa è quella che unisce le musiche e non quella dei compartimenti stagni. Io mi posso trovare bene suonando un brano di Charlie Parker o di Ornette Coleman piuttosto che uno di Ligeti o di Berio, dei Led Zeppelin o di Bowie. È una concezione un po’ zappiana, se vogliamo dare paternità, nella quale si fa convivere un trittico formato da jazz, rock e musica classica contemporanea in maniera creativa, il tutto tenuto insieme dal jazz, che dà la grande possibilità di rimaneggiare generando forme, vite.
La comunicazione che accompagna il concerto parla di ‘scarica elettrica’ che ‘saprà far resuscitare’…
Posso confermare che non mancherà l’energia. Ho preso quattro brani estrapolati da ‘Blackstar’, ne ho composti altrettanti e ne è uscita una sorta di suite di otto movimenti. Il procedimento che sta attorno alla costruzione segue il filo conduttore dell’album, ma segue anche Bowie, al quale sono ispirati i brani originali, oltre che alle sue sonorità. Ci sono riferimenti anche a livello spirituale, come nel mio brano ‘Occhi diversi’, riferito agli occhi bicolore di Bowie ma anche a come tutto possa diventare diverso quando le cose si guardano con, appunto, occhi diversi, quanti diversi significati possano assumere le cose che facciamo o, nel caso di un musicista, il materiale che si adopera, in quanti modi è fruibile se si ha la capacità di vedere oltre la barriera del genere, dello stile.
Nel repertorio di Falzone c’è anche il Bowie di Philip Glass, anche se non per il quartetto che arriva al Lac.
Sì. Questo lavoro non è nato per quartetto, ma nel 2019 per orchestra sinfonica e trio, commissionato dall’Orchestra sinfonica di Milano, una bellissima esperienza durante la quale abbiamo eseguito la Sinfonia n.4 Heroes di Philip Glass. La musica per me è un fatto universale ed è per questo che è nata la mia Contemporary Orchestra, formata, guarda caso, da una sezione ritmica rock, basso-chitarra-batteria, con ai lati flauto e fagotto per rappresentare il versante antico/moderno della musica classica, e al centro la frontline tipica del jazz, trombe-tromboni-sassofoni. L’orchestra nasce col desiderio di mettere insieme i miei interessi principali. Ecco, portare una soluzione di questo tipo, in questo particolare momento, sarebbe un problema aggiuntivo, ma le Mosche Elettriche nascono ben prima della pandemia e posso garantire che fanno un gran baccano (ride, ndr). Il pubblico può attendersi musica di sapore rock ma che esplorerà a 360 i vari aspetti della musica contemporanea che prevede il jazz, quindi la sorpresa, l’imprevedibilità, insieme all’energia e alla potenza che questo lineup può garantire.
Andando sul personale: quando avviene il tuo passaggio dal rock al jazz?
Se analizzo il percorso, ho iniziato da ragazzo con il rock, avendo amici più vecchi di me che mi facevano ascoltare, per fortuna, Led Zeppelin, Deep Purple, King Crimson. Tutta quella splendida storia mi ha colpito molto. Ma ho iniziato a studiare, a suonare la tromba solo a diciott’anni, dopo essere stato a contatto con questo genere di musica che non era né jazz né classica. Il percorso è stato fulmineo, ho scoperto il talento sulla tromba che mi ha permesso di diplomarmi in soli quattro anni, una facilità che mi ha consentito di lavorare sin da subito nel mondo della classica. Io ne ho approfittato, ma nel mio cuore c’era l’amore per il jazz.
E il tuo primo ascolto jazz?
Una cassetta di Louis Armstrong, quando ancora c’erano le musicassette, regalatami non appena iniziai a suonare la tromba. Una cassetta che mi colpì nonostante Armstrong fosse un musicista, tra virgolette, demodé, e sebbene rimanga uno dei miei preferiti in assoluto, perché più diventi esperto e più capisci quanto Armstrong sia inarrivabile, lontano galassie da altri per quanto è riuscito a fare. In qualche modo è partito tutto con lui, e io adolescente che aveva avuto la fortuna di ascoltare la musica non del suo tempo, ma quella di un’adolescenza precedente, che lo avrebbe indirizzato.
“La sua morte non è stata diversa dalla sua vita: un'opera d'arte”. Furono le parole del co-produttore Tony Visconti a dire di come l'intero progetto ‘Blackstar’ fosse stato concepito da David Bowie come un “canto del cigno” o un “regalo d'addio” ai fan, per suonare il quale l'artista scelse un gruppo di jazzisti newyorkesi guidati dal sassofonista Donny McCaslin, scelti dopo avere assistito a una loro performance in un piccolo jazz club di Manhattan.
L'epitaffio del disco, uscito l'8 gennaio 2016, è considerato ‘Lazarus’, secondo singolo il cui video apparve su YouTube tre giorni prima della morte di Bowie. I Grammy conquistati nell'edizione del 2017 e i trentacinque paesi del mondo che videro ‘Blackstar’ al primo posto delle charts furono parte della globale certificazione del 25esimo e ultimo album in studio di uno degli artisti più influenti del XX secolo.