Gli esordi cinematografici, il successo reinventando la figura della showgirl, le canzoni e i balli censurati: storia di coraggio, energia e libertà
Attraversare, senza mai un cedimento, oltre sessant’anni il mondo dello spettacolo non è cosa da poco, servono caratteristiche fuori dal comune e – al di là dell’interesse che si può avere, o non avere, per certe forme di intrattenimento – Raffaella Carrà indubbiamente le aveva. Showgirl, cantante, ballerina, attrice, conduttrice e autrice televisiva e radiofonica, era una icona del pop – “Se la Svezia ha gli Abba, l’Italia ha Carrà” aveva scritto il ‘Guardian’ lo scorso novembre –, ma non solo e non sorprende più di tanto che tra i tanti commossi ricordi seguiti all’annuncio della morte di Raffaella vi sia il maestro Riccardo Muti che la incontrò nel 2019 per la trasmissione ‘A parlare comincia tu’: “Era emozionata lei ed ero emozionato io. Emozionato perché l'ho sempre molto ammirata, per la sua bravura, per la sua arte – perché per lei si può parlare di arte - e per quella naturalezza molto italiana che ne ha fatto una specie di simbolo di una Italia lieve, una figura che ci ha accompagnato per decenni”.
Più sintetico Renzo Arbore: “Gli storici parleranno della fine della bella époque del piccolo schermo; io provo un grande dolore per aver perso un’amica”. Ma interrompiamo subito l’un po’ noioso elenco di affrante citazioni di personaggi dello spettacolo e della politica, per ripercorrere almeno brevemente la vita straordinaria di Raffaella Pelloni. Questo il suo vero nome e anche quello con cui, ad appena otto anni, esordì nel film ‘Tormento del passato’ di Mario Bonnard. I primi anni proseguirono tra cinema, teatro, radio e televisione (come valletta di Lelio Luttazzi ne programma ‘Il Paroliere questo sconosciuto’), arrivando anche a Hollywood con ‘Il colonnello Von Ryan’ di Mark Robson, recitando al fianco di Frank Sinatra. «Mi regalò una collana di perle con chiusura di smeraldi, l’ho persa. Aveva voglia d’innamorarsi, io no. Non volevo essere la fidanzata del capo» ricordò anni dopo Raffaella Carrà, un aneddoto che dice già molto dell’indipendenza e della forza del personaggio. Che appunto in quegli anni assunse il nome con cui tutti la conoscono adesso. A suggerire il cambio pare fu il regista Dante Guardamagna: già che portava lo stesso nome di un grande artista, Raffaello, perché non aggiungere il cognome di un altro pittore, Carlo Carrà?
Il cinema non faceva per lei e così si dedicò alla tv e alla musica, riscrivendo il proprio personaggio da semplice valletta a showgirl energica ed fuori dalle righe. ‘Io, Agata e tu’, nel 1970, ma soprattutto ‘Canzonissima’ con Corrado, con brani trasgressivi (per l’epoca e in fondo ancora un po’ adesso) come il ‘Tuca tuca’.
E poi arrivano ‘Ma che musica maestro’, ‘A far l'amore comincia tu’ – che l'ha portata ad esibirsi anche a Top of The Pops, il più celebre programma di classifiche della tv inglese – e ‘Fiesta’. Gli anni Ottanta sono quelli di Fantastico con Corrado, Gigi Sabani e Renato Zero: una media di 25 milioni di spettatori ad ascoltare la sua sigla di apertura ‘Ballo ballo’. Conduce ‘Milleluci’ al fianco di Mina, creando una delle coppie televisive più esplosive della nostra tv, anche se si parlò di un'accesa rivalità, nonostante i memorabili duetti. È anche il periodo in cui nasce il sodalizio con Gianni Boncompagni, che la accompagnerà per tutta la sua carriera. Sempre nello stesso periodo arriva ‘Pronto, Raffaella?’ Dopo un periodo, di due anni, in Fininvest, Raffaella torna alla Rai negli anni Novanta dove raccoglie di nuovo successi con ‘Carràmba! Che sorpresa’, trasmissione che entra anche nel dizionario dove da tempo si registra “carrambata” come inaspettato incontro fra persone che non si vedono da tempo, sui quali appunto si basava il programma.
Raffaella Carrà deve molto del suo successo internazionale alle canzoni. Sono pochi i cantanti italiani che possono vantare un successo simile valutato oggi in decine di milioni di copie vendute con remix firmati dai dj più famosi attratti da quelli melodie che, in bilico tra pop e kitsch, hanno la capacità di intercettare i gusti del pubblico più largo anche attraverso le generazioni. Il già ricordato ‘Ma che musica maestro’, e poi il brano che ancora oggi la rappresenta nel mondo: ‘Rumore’, uno dei primi esempi di disco music all'italiana che ha venduto 10 milioni di copie, è stato pubblicato in spagnolo, inglese e francese e rimixato innumerevoli volte. Proprio quel successo la porta, nella seconda metà degli anni Settanta a girare il mondo come cantante: è proprio in quegli anni che Raffaella diventa una super star in Europa e in tutto il mondo latino.
Al di là del fatto che ha pubblicato album fino al 2018, l'ultimo è una raccolta natalizia, le sue canzoni hanno continuato a girare per il mondo. Tiziano Ferro le ha dedicato "E Raffaella è mia", chiamandola ad essere protagonista del videoclip della canzone, l'anno scorso è uscito ‘Explota explota’, un film spagnolo di Nancho Alvarez basato sulle canzoni di Raffaella Carrà che appare anche in un cameo.
Raffaella Carrà è anche ricordata per il primo ombelico televisivo. In realtà a precederla di un anno circa furono le gemelle Kessler, ma a entrare nella storia fu il suo, forse perché più appariscente (“a forma di tortellino” ha ricordato in più occasioni), certamente per la storia di censura che ne seguì. Nel 1971 il balletto legato a ‘Tuca tuca’ spaventò i dirigenti della Rai che costrinsero la showgirl ed Enzo Paolo Turchi a ballare quasi girati di tre quarti. Il brano ebbe un successo clamoroso ma solo dopo che la celebre coreografia fu riproposta in un'irresistibile versione con Alberto Sordi fu consegnata alla storia del costume del nostro Paese.
I problemi di censura non riguardarono solo la Radiotelevisione italiana: la spregiudicata allegria delle sue canzoni e il suo ombelico scoperto furono notati anche dalla dittatura argentina che nel 1976 pubblicò una lista di cantanti “proibiti” tra cui appunto Raffaella Carrà. Ma il successo del suo album 'Fiesta' fu tale che nel 1979 la sua presenza fu richiesta a gran voce in America latina, tanto che si organizzò un tour in Argentina, Cile, Perù e Messico. Nei primi due Paesi i testi di alcune sue canzoni furono però modificate per volere di Videla e Pinochet.
Le dittature finirono, la popolarità di Raffaella Carrà no e adesso in Sud America sono in molti a piangere la showgirl. L’ultima sua visita in Argentina fu nel 2005, quando fu l'ospite d'onore del programma 'La noche del diez', condotto dall'amico Diego Maradona.
Raffaella Carrà era diventata un’eroina del mondo gay e Lgbt: senza volerlo e senza neanche sapere bene perché, come ha confessato al ‘Corriere della sera’ quando nel 2017 le consegnarono il riconoscimento di “icona gay mondiale" al World Pride di Madrid: «Morirò senza saperlo. Sulla mia tomba lascerò scritto: “Perché sono piaciuta tanto ai gay?». Le motivazioni parlano di coraggio, energia e libertà e infatti pochi anni prima, ‘A far l’amore comincia tu’, rimixata da Bob Sinclair, venne scelto come inno del Gay Pride del 2011. Ma non è una cosa recente: già negli anni Settanta, intervistata da ‘Tv, Sorrisi e Canzoni’, aveva detto che «vorrei che la gente smettesse di guardarli male. […] Hanno diritto al rispetto e anche a un po’ di compassione, visti i problemi umani e sociali che devono affrontare».
Vale la pena ricordare anche un’altra canzone, per quanto non una delle più celebri: ‘Luca’ del 1978, nel quale si racconta di un ragazzo del quale Raffaella si era innamorata, solo che lui evidentemente preferisce un ragazzo biondo. Se facciamo il confronto con ‘Luca era gay’ di Povia, capiamo ancora di più l’importanza di Raffaella Carrà.