Tranquilli, torneranno il prossimo anno, che lo si voglia o no, virali come sempre (anzi, virulenti). Enzo Gentile, nel libro ‘Onda su onda’, ce li racconta.
Interpellato sui tormentoni estivi da un Sorrisi e Canzoni di qualche tempo fa, Claudio Cecchetto parlava piuttosto di “tormentini”. L’autore del testo di ‘Gioca jouer’, tormentone non estivo vecchio di quarant’anni (musica di Claudio Simonetti dei Goblin, quelli di ‘Profondo Rosso’), identifica in ‘Bongo cha cha cha’ il tormentone perfetto. Il singolo del 1959 di Caterina Valente è tornato di moda quest’estate grazie a TikTok, poi oggetto di remix degli inglesi Goodboys. Meno in linea con Cecchetto è la 95enne cantante, luganese d’adozione, secondo la quale “il pezzo era già un po’ banale e sempliciotto allora”, figuriamoci oggi. Come riporta il Messaggero, a nulla è valso il tentativo dell grande artista di bloccarne la pubblicazione, in quanto già di pubblico dominio. Tornando a Cecchetto, cui l’estate deve Sabrina Salerno, Sandy Marton, Tracy Spencer, i Finley, ma anche Jovanotti, Max Pezzali e Fiorello, “il tormentone è come il tartufo: se sapessimo dove spunta, tutti lo troverebbero e non avrebbe più valore”. Da cui l’invito ai produttori a essere “bravi cani da tartufo”.
Non è qui nostra intenzione cercare di capire ‘Come si scrive un tormentone estivo’, titolo di molte indagini musicologiche, sociologiche, psicologiche, anche parapsicologiche. Perché come si scrive un tormentone non lo sa nemmeno Umberto Tozzi (“Puoi sempre provare a chiedere a McCartney come ha fatto a scrivere ‘Yesterday’”», ci disse nel 2017 quando gli chiedemmo il segreto di ‘Ti amo’). Ci limiteremo dunque a riferire dell’estate 2021, e a parlare di un libro che dei tormentoni racconta la genesi.
Da quando non c’è più il Festivalbar, non c’è il vincitore dell’estate. Ogni radio ha un suo Festivalbar; pure le case automobilistiche e le compagnie telefoniche. Prendendo come riferimento Spotify, stando al magazine per veri uomini GQ e utilizzando un lessico giovane, la canzone più streamata (da ‘streaming’) dell’estate in tutto il mondo è (600 milioni di ascolti alla data del 25 agosto) ‘Good 4 U’ di Olivia Rodrigo, 18enne stellina Disney di ‘High School Musical’ in un pop-punk collegiale molto anni Duemila. Al secondo posto, ‘Beggin’’ degli italiani Måneskin, cosa vecchia di cinque anni tornata in auge grazie alla vittoria all’Eurovision Song Contest. Cosa, in realtà, vecchia di 54 anni per l’essere ‘Beggin’’ uno dei successi dei Four Season di Frankie Valli (quello di ‘Grease’, vedi film ‘Jersey Boys’ di Clint Eastwood).
L’estate internazionale dei Måneskin è pure ‘I Wanna Be Your Slave’ (Top 20), anche in duetto con Iggy Pop per lo sconcerto (ingiustificato) dei fan dell’Iguana. Tutto ciò mentre la bassista Victoria titilla il capezzolo del frontman sul palco di Vienna e mentre il mondo pretende di sapere da lei se abbia o meno una fidanzata. Mondo che parla portoricano (‘Todo De Ti’ di Rauw Alejandro, terzo), e poi una manciata di hit dalle sonorità Nile Rodgers, insieme all’ormai adulto Justin Bieber (‘Stay’ con The Kid Laroi) e al sempreverde e semprerosso Ed Sheeran (‘Bad Habits’).
La frase dell’estate italiana non è “Quando sei arrivato ti stavo aspettando / Con due occhi più grandi del mondo” (‘Mille’, dello strano trio Fedez, Achille Lauro, Orietta Berti), ma “Se quindici anni fa mi avessero detto che nel 2021 la canzone dell’estate l’avesse cantata Orietta Berti mi sarei messo a ridere”, verso che non è in nessuna canzone, ma è la risposta di Francesco Baccini a chi gli chiede, su sound36.com, se la musica sia cambiata. “Oggi – aggiunge il cantautore – dobbiamo ringraziare Orietta, perché ci ha fatto vedere la differenza tra chi sa cantare e chi no”. Guardando a questa estate, in Italia, terra di santi, poeti e navigatori, i santi sono rappresentati da Sangiovanni, che il pubblico luganese ha avuto modo di pregare lo scorso agosto in Piazza Riforma. Adesso, con sei dischi di platino, Sangiovanni, se vuole, si compra tutta ‘Malibu’, titolo del tormentone il cui video include anche Giulia Stabile, vincitrice di ‘Amici’ alla quale il cantante (arrivato secondo) è, dice l’Enciclopedia digitale, “sentimentalmente legato”. Ma Sangiovanni sui social scrive: “Io non sono il fidanzato di Giulia e Giulia non è la fidanzata di Sangiovanni, non perché non lo siamo veramente, ma perché prima di tutto siamo due artisti” (cioè? Come John e Yoko e i coniugi Christo? La dichiarazione è criptica). Tornando a temi più futili, sempre secondo i dati di Spotify, al terzo posto in Italia c’è la coppia Bianco e Sfera Ebbasta con ‘Mi fai impazzire’.
(Preghiamo) Che d’estate Sangiovanni batta Madame (‘Marea’), poco importa alla Sugar di Caterina Caselli, che fa da chioccia a due giovani che ci terranno compagnia, è certo, per gli anni a venire. Magari sin dal prossimo Sanremo. E quando, in un trionfo di santi, a febbraio titoleremo “Sangiovanni ha vinto Sanremo”, la benedizione del Dio del pop scenderà su di noi e ci accompagnerà sempre (il capitolo è finito, andate in pace all’intervista che segue).
“Le canzoni sono come le camere d’albergo: tutti le frequentano, tutti ci fanno più o meno le stesse cose, ma in maniera sempre un po’ diversa, e senza intaccare la loro natura”. Così le vede – le canzoni, anche quelle estive – Enzo Gentile, giornalista milanese che racconta di musica da una cinquantina d’anni. Una ventina di libri pubblicati (tra cui ‘The story of life. Gli ultimi giorni di Jimi Hendrix’, 2020), consulenze per il cinema, la tv e il teatro, direzioni artistiche (‘Suoni e Visioni’, ‘Naturalmente pianoforte’) e un volume che sa di mangiadischi e juke-box. Aperto da una prefazione di Claudio Bisio, che si confronta con la sua unica esperienza musicale estiva, ‘Rapput’, il libro ‘Onda su onda – Storie e canzoni nell’estate degli italiani’ (Zolfo, 2021) è uno spaccato d’epoca non solo italiano, con dentro un centinaio di artisti a dire la propria sul tormentone. «Il libro – dice Gentile – nasce dall’osservazione che nonostante le vendite dei dischi si siano praticamente estinte, ogni anno si apre puntualmente questa specie di competizione, anche in piena pandemia. Mi sono detto che sarebbe stato il caso di fare una ricerca più approfondita, mettendo le canzoni in relazione con la storia del nostro paese, visto il loro incrociarsi spesso a dati oggettivi di cronaca e costume. E visto che possiedo l’età necessaria per avere memoria degli anni Sessanta, da cui tutto parte».
Enzo Gentile: il libro ha alcune parole chiave. Una è senz’altro juke-box.
Davanti al juke-box ho trascorso le estati, mentre i miei genitori ballavano al suono di quelle canzoni. Nel mio scrivere di tutto questo, c’entra anche una componente di gradevolezza assoluta della quale non mi vergogno, per quella parte di musica leggera realizzata assai bene, con arrangiamenti meravigliosi e testi che, per quanto spesso smaccatamente ‘cartolina’, avevano e hanno ancora il loro perché. E il juke-box era 50 lire un brano, 100 lire tre; anche se erano pochi spiccioli, si trattava di scegliere e d’investire per noi ragazzini che dovevamo gestirci i soldi di un’intera settimana. Oggi ascoltiamo musica in cuffia, ognun per sé, ma un tempo il volume del juke-box s’allargava a tutta la gente del bar, volente o nolente. Quelle canzoni avevano una platea molto più numerosa rispetto a chi sceglieva il singolo brano. Il juke-box era una potentissima cassa di risonanza.
Altra parola fondamentale: ‘Cantagiro’, sorta di antesignano del firmacopie.
Sì, ma col vantaggio di avere tappe in giro per l’Italia su splendide auto decapottabili. Non l’ho vissuto, il Cantagiro, ne ho solo letto, ma era pervaso da una joie de vivre di strade che si popolavano di auto con sopra i cantanti, diretti nella cittadina in cui era previsto il concerto. Idea geniale, anche se molto complicata da gestire se pensata con le logiche di oggi. Ma all’epoca erano tutti molto più sportivi e disinvolti.
Cito dal libro: “La gente affacciata ai balconi come fosse la processione del Santo patrono”...
Certo, perché all’epoca, senza telefonini, soltanto così il cantante potevi avvicinarlo, addirittura toccarlo. In tv c’era un solo canale televisivo e molti di quegli artisti erano noti per la canzone, ma per vedere come fossero fatti, se fossero altri o bassi, se avessero le rughe o la pelle liscia, gli occhi verdi o azzurri, c’era un solo modo: andare a vederli di persona, perché nel caso degli occhi, la tv era ancora in bianco e nero.
L’altra parola è ‘Festivalbar’, “perfetto incontro tra industria e spettacolo”...
Sì, con il juke box elevato a strumento di premiazione. Non posso garantire che i calcoli fossero precisi, ma si partiva dal presupposto che le canzoni più ‘gettonate’, neologismo del patron Vittorio Salvetti, si sarebbero sfidate sino alla finale, e avrebbe vinto quella con più scelte nei juke-box. Una bella invenzione, in un periodo in cui la crescita degli apparecchi fu esponenziale. Quelle cifre testimoniavano non necessariamente l’acquisto del disco, ma la preferenza, almeno fino agli anni 90, quando gli 883 e Ligabue erano ancora ‘gettonabili’.
Festivalbar meccanismo perfetto: “Niente novizi da lanciare, semmai talenti più o meno noti da spingere”...
Sì, perché quello che si scopre in questa vicenda è che sono esistite sia le meteore, artisti da un solo pezzo che magari nemmeno hanno scritto ma che hanno legato la propria storia a una canzone, ma anche fior di professionisti dalla grande continuità. C’è un team di artigianato, a partire dagli anni Sessanta e Settanta, fatto di autori, direttori d’orchestra, produttori, arrangiatori. In quegli anni, Rita Pavone, Gianni Morandi, Edoardo Vianello hanno alle spalle la Rca, una fucina di talenti a diversi livelli e con diverse professionalità, come Ennio Morricone.
Lei cita ‘Duemila60 Italian Graffiati’ di Ivan Cattaneo, 1981, quale album decisivo in ottica di riscoperta del patrimonio estivo.
C’è una convergenza ‘astrale’: Ivan Cattaneo è il primo a recuperare quel repertorio di canzoni un po’ dimenticato, ‘Una zebra a pois’, il ‘Geghegè’, rivisitato con nuovi linguaggi e anche con l’immagine, nel momento dei primi videoclip di una tv che andava ad ascoltare i brani e li rappresentava. Poi, esce un film come ‘Sapore di mare’, che va a pescare in quel repertorio, e poi ‘Bandiera Gialla’, il locale ma anche programma tv. In questo triangolo delle Bermude, molta gente finisce per caderci piacevolmente. La stessa cosa era accaduta nel 1980, fatte le dovute proporzioni, con il film ‘The Blues Brothers’, nel quale si recuperavano le grandi hit del rhythm’n’blues di quindici anni prima messe un po’ da parte.
Sulla qualità dei tormentoni di oggi, lei scrive: “Hit molecolari, canzonette nane, di gittata sentimentale o poco più”…
Ogni anno ci sono duetti o trii che puntano molto semplicemente a sommare le fanbase degli artisti: c’è quello che va bene in tv, quello che ha tanti follower. Il brano può anche essere buono, ma Fedez, Achille Lauro e Orietta Berti sono Frankenstein. Lo scorso anno anche Chiara Ferragni fece un disco, dunque va bene tutto. La canzone era destinata allo spot di un prodotto per capelli. È un’altra esigenza, ugualmente dignitosa, ma la componente artistica è un’altra.
Sarà che oggi a reggere la musica non ci sono visionari, ma ex-musicisti?
Sì, un tempo si osava. Ora, a guardare bene, la playlist di una radio è quasi del tutto identica a quella di un’altra, e le grandi emittenti dettano legge sulle minori, costrette a rispecchiarvisi. Purtroppo è così, è una legge dei consumi. Non so se durerà.
Per finire: il suo tormentone preferito?
Per la qualità, ‘Estate’ di Bruno Martino, canzone che in questi sessant’anni è diventata standard internazionale. Su di un piano più frivolo, Umberto Tozzi e Alan Sorrenti: anche se non sono le mie preferite, le riascolti ogni volta e dici, ancora oggi, “Bravi tutti”.