Béla Bartók e Maurice Ravel per l’Orchestra della Svizzera italiana diretta da Fabien Gabel e accompagnata da Bertrand Chamayou
Il distanziamento sociale all’interno del LAC non è più una novità, ma deve diventare una consuetudine: si avverte un disagio crescente tra il pubblico. Si consolino i melomani: i concerti non saranno più eventi mondani, occasioni per incontrare amici e magari ber qualcosa assieme; diventeranno momenti ascetici di ascolto solitario. Tanto meglio, soprattutto se la qualità dell’offerta musicale sarà alta come giovedì scorso.
In scena ci sono stati il pianista Bertrand Chamayou, che il pubblico potrà ricordare come un interprete di riferimento per Ravel; il direttore Fabien Gabel, elegante e puntuale nel trasmettere all’orchestra la sua lettura delle partiture, l’Orchestra della Svizzera italiana, anfitrione autorevole, ammirevole per la destrezza dei suoi archi nell’assecondare le intenzioni di direttore e solista e anche nel conciliare l’esuberanza di qualche fiato solista; aggiungo il musicologo Giovanni Gavazzeni per “Intorno e dopo Wagner”, la sua presentazione sul programma di sala, come sempre una chicca per i melomani.
Il secondo appuntamento della stagione, che è dunque andato in scena con il pubblico dimezzato e mascherato, sarà anche ricordato per il programma intrigante che ha contrapposto due opere della seconda metà dell’Ottocento a due della prima metà del Novecento: di Richard Wagner il “Siegfried-Idyll” (1870), di Giacomo Puccini il Preludio Sinfonico (1882), di Béla Bartók la Suite di danze (1923), di Maurice Ravel il Concerto per pianoforte e orchestra in sol maggiore (1931).
Un programma spalmato su sessant’anni, ma con due opere nate in tardo meriggio romantico e due dopo la prima guerra mondiale, musiche consonanti e musiche dissonanti lontanissime tra loro anche perché calate in tessuti sociali profondamente diversi. E l’opera giovanile di Ravel eseguita con maestria da Chamayou come bis, “Pavane pour une infante défunte” (1899) non ha avuto il potere di riavvicinare le parti. Ma è entrato virtualmente in scena Adrian Leverkühn, l’eroe del Doctor Faustus di Thomas Mann, col paradosso (seppure è un paradosso) che la dissonanza esprime ciò che è serio, elevato, spirituale, mentre l’armonia e la tonalità sono riservate al mondo della volgarità e del luogo comune.
L’impegno di Ravel e soprattutto di Bartók nello studiare con la pazienza e l’acribia del ricercatore la musica popolare di etnie diverse li ha portati a esplorare sia il mondo esteriore delle usanze e dei costumi che il mondo interiore del linguaggio musicale, non dissimile da quello della musica classica. Un lavoro prezioso che ha offerto alla musica occidentale peculiarità nuove, nuovo materiale sonoro da dissodare. Dobbiamo insomma ammirare Ravel e Bartók come preziosi meticci culturali, soprattutto un secolo dopo mentre scontiamo in diretta le follie e le contraddizioni della società occidentale.