Alla Rsi, estratti dall'album del '95 'rilucidato' e in uscita il 25 settembre. Intervista a Davide 'Van De Sfroos' Bernasconi e Alessandro 'Frode' Giana
Sostiene Bertoglio che una copia del cd di ‘Manicomi’, anno 1995, si sia venduta anche a mille euro. «Sì, ci sono leggende che parlano di tanti soldi», conferma Davide Van De Sfroos (che di cognome fa Bernasconi); «Non sono nemmeno leggende», aggiunge Alessandro Frode (che di cognome fa Giana), nel backstage dello Studio 2 della Rsi, concluso lo showcase mattutino all’insegna dell’amarcord, col Verga a rimestare il tempo che fu e i De Sfroos, riuniti dopo un quarto di secolo, sul palco a suonare e cantare come ai tempi di Piazza Riforma, quando il Ticino era già pazzo per il loro misto di punk, rock, ska, traditional cantato in laghee e a Como nemmeno li conoscevano. «La dico tutta», prosegue Davide: «Sul mille euro siamo sicuri, ma ci sono storie di gente che avrebbe dato via pezzi di casa per averlo. C’è stata comunque tutta una letteratura dietro questo disco scomparso». Senza sapere che il 25 settembre del 2020 ‘Manicomi’ sarebbe uscito in ogni dove dopo la ‘lucidatura’ negli studi della Rsi da parte di Lara Persia e la ristampa in ogni formato possibile, deluxe, limited edition, cofanetto, autografato. Tüt i ropp. E con dentro foto d’archivio ritrovate nello stesso baule dal quale Alessandro ha recuperato i master del disco. «Bello come all’inizio», dice Frode. «Ma non è che siamo stati via venticinque anni per far salire le quotazioni del disco…», specifica il Bernasconi. Inutile dire che l’oggetto di culto è rimasto, inteso come album. E dall’album non se n’è andato mai nemmeno Marcu De La Guasta (Marco Pollini), che ha lasciato la band, e questa terra, nel 2017.
Un punto fermo, ‘Manicomi’, unito al Ticino, terra dalla quale tutto è cominciato: «È stato il punto dal quale un po’ tutto è sempre cominciato, è sempre stato il punto da cui personalmente, nella mia carriera solista, tendevo sempre a ripartire. Palacongressi, Piazza della Riforma, radio, televisione. È qualcosa che ci ha tenuto a battesimo all’inizio e che continua a essere parte della nostra storia. Vuoi perché non siamo poi così lontani, vuoi perché la nostra musica ha proprio a che fare con il crossover della frontiera, un non luogo che abbiamo creato noi». Con una garanzia (Alessandro): «È un progetto che è tornato e ci ha ricoinvolti tutti come fosse una cosa nuova. Non stiamo scimmiottando i Des Sfroos che furono». Coi paraurti ancora da ricromare, la carburazione da mettere a punto e tutte le attenzioni che si riservano a un'auto che si rimette in strada dopo tanto garage (le imperfezioni che sono parte del tesoro della musica suonata da umani e non da androidi), sul palco dello Studio 2 ci sono Bernasconi voce e chitarra, Giana basso e cori, Didi Murahia (Arturo Bellotti), batteria e Lorenzo Mc. Inagranda (Lorenzo Livraghi), violino, mandolino, banjo e cori. Oppure, "se fosse un western", così come introdotti alla De Sfroos (Davide): "Alessandro, il pistolero o il baro; Lorenzo, il pianista del saloon ma anche l'undertaker ('Imprenditore di pompe funebri') che ti prende le misure; Didi, il cacciatore che arriva dalle montagne del Canada. Io farei il reverendo, quelli che sparano e poi ti benedicono".
I De Sfroos suonano ancora attualissimi. Le spiegazioni sono due: o in venticinque anni la musica ha prodotto poco, ed è il contrario, o i De Sfroos erano ‘avanti’: «Mah, devo dire che la musica di oggi – dice Davide – basta aprire un torrent (“protocollo che consente la distribuzione e la condivisione di file su Internet”, anche download, o 'skargaa', ndr) e si scoperchiano scatole cinesi fantastiche di gente che fa musica strepitosa, futuristica e futuribile. Noi, probabilmente, facevamo qualcosa che non aveva una data di scadenza così marcata a fuoco. Essendo legata a un modo di essere, di parlare, un modo radicale di affrontare le cose, quelle che non scadono nella vita delle persone, ci siamo ritrovati ad esistere». È il bello del folk. Piccola lezione di musica segue: «Prendiamo un Defender (“Un Suv concreto, potente e adatto a qualiasi tipo di terreno”, dal sito ufficiale Land Rover, ndr), una macchina ancora meccanica, in un deserto. Se hai una chiave inglese e un martello e trovi una persona dentro un’oasi, è probabile che riesca a mettertela a posto. È una macchina che non scade. Ci piace pensare che il folk, inteso come folk, folk-rock, quello che vuoi, faccia parte di qualcosa che ha dentro degli ingredienti atavici, ancestrali, primordiali. La gente balla quel tipo di musica nella piazza, ascolta quel tipo di storia perché è parte di sé».
Detta con le parole di Alessandro: «È per antonomasia musica fuori dal tempo. L’altra cosa che ha fatto la differenza di questo disco è che è un album onesto, che non era stato studiato, sottoposto a gruppi di ascolto, ma diretto, spontaneo». Davide: «Sponteneità che ci ha permesso di registrare con tutti i sacri crismi, che all’epoca quelli come noi avevano la cassettina autoprodotta da copiare e dare in giro. Cito Maurizio Camagna, il Metropolis (storico studio di registrazione milanese, ndr), Mauro Pagani e via dicendo. Concatenazione di eventi, amicizie, qualcuno ci ha creduto e ci ha permesso di fare un prodotto che con una lucidata non decade. Certo, lo ascolti e ti accorgi che io ero più giovane, che eravamo più veloci perché avevamo un altro tipo di respirazione e un altro tipo di epicondilite (si ride, ndr), però c’è stato il lusso di aver potuto fare un disco che ha il suo bel perché anche in vinile».
‘Manicomi’ è a suo modo attuale, e anche qui non vi è alcun calcolo, visti i tempi in cui viviamo. Alessandro: «Il fatto che li abbiano chiusi è secondario, però la follia impera e ci circonda. Non val la pena di fare citazioni, ma chiunque può pensare al vicino di casa, ai politici di casa. Ce n’è per tutti». Davide: «La cosa curiosa è che la parola ‘manicomi’, che sembra plurale, il realtà in dialetto è singolare, ‘el manicomi’. Però può significare anche tutti i vari manicomi nei quali abbiamo dovuto passeggiare. I manicomi non esistono più, ma esisteranno sempre dei corridoi bianchi, inquietanti, con dentro persone sofferenti perché non sono riuscite ad assecondare o a partecipare a un mondo che spesso li ha fatti fuori semplicemente perché non erano economicamente affidabili, perché non erano in linea con il pensiero, con il modo di essere e di fare». E ancora: «Non viviamo più situazioni da elettroshock, però quanta gente che sta male e deve viaggiare con la pillola in tasca, quanta gente è schiacciata da un sistema basato sulla velocità...».
I Des Sfroos Reloaded danno appuntamento a – nell’ordine – Lugano, giovedì 24 settembre al LongLake Festival, Bergamo (venerdì 25), Brescia (sabato 26), Como (domenica 27), Milano (mercoledì 30) e Lecco (domenica 4 ottobre). Ma anche su www.laregione.ch/generidiconforto, nel podcast di sabato 26 settembre che ospiterà la versione integrale di questo incontro (Davide Van De Sfroos, fuori onda: ‘Generi di conforto’? Bel titolo. Quando entro all’autogrill chiedo sempre: "Che generi di conforto avete?”).
Dallo Studio 2 della Rsi (© Rsi/L.Daulte)