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Locarno2020, il cinema della direttrice e la storia

Tra i Secret Screening scelti da Lili Hinstin, troviamo un ‘B movie’, alla faccia del “miglior cinema del mondo”. Meglio tra i film online

10 agosto 2020
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La direttrice artistica di questa edizione 2020, la numero 73 del glorioso Festival di Locarno, la sorridente Lili Hinstin, ha molto a cuore una sua particolare sezione chiamata “Secret Screening”. Film i cui titoli non si trovano nel complicato catalogo, condensato su un retro locandina, distribuito come unica alternativa all’online. Così si va in sala come giocando al buio una mano di poker: ti può capitare un mitico film italiano che ti regala una superba lezione di recitazione con i leggendari Ugo Tognazzi e Vittorio Gassman, o un film che non ha potuto essere presentato da Acid a Cannes, “Walden” di Bojena Horackova (da non confondere con un altro “Walden” documentario del 2018 molto interessante, sulla tragica logica economica del nostro mondo globalizzato, di Daniel Zimmermann). Questo “Walden”, film molto personale della regista, aveva giustamente trovato posto nella Sélection Acid Cannes, che rappresenta un mondo di cineasti indipendenti nel loro essere e dire.

Il problema, se problema ci deve essere, è nel terzo film sorpresa, quel B movie britannico che è “Dr. Jekyll & Sister Hyde” del 1971 (in Italia si intitolò: ”Barbara, il mostro di Londra”), firmato da Roy Ward Baker, regista che affida la sua fama a un film leggendario come “Don’t Bother to Knock” con Richard Widmark, Marilyn Monroe e la ventunenne Anne Bancroft all’esordio importante. Qui il regista, resident director alla Hammer, specializzata in film horror e fantascientifici, si trova tra le mani una sceneggiatura di Brian Clemens che semina le macabre cronache di Jack lo Sventratore sul solido dettato del “Dr. Jekyll & Mr. Hyde” di Robert Louis Stevenson, aggiungendo in più un fin troppo commerciale sapore omosessuale.

Non è un caso che la produzione di questo film e l’uscita negli Stati Uniti non sono state solo promosse dall’aumento delle azioni Lgbtq, ma anche dai movimenti femministi della seconda ondata. Sono anni importanti, quelli che vanno dalla fine dei sessanta ai primi ’70 dello scorso secolo per lo sviluppo di una coscienza di genere sessuale. Non si deve dimenticare che nel 1969 con gli Stonewall Riots, comincia una stagione nuova, proprio la Hammer nei due anni seguenti aumenta l’esportazione di film Lgbtq negli Usa, e questo è uno dei titoli. Certo se è facile riconoscere il valore storico in un processo di rivoluzione morale di un brutto film come questo, non se ne riconoscono altri valori, è un film recitato male, diretto in modo approssimativo, ma soprattutto scritto in modo volgare, al punto di riuscire a celebrare l’omofobia. Allora la sorridente direttrice, che nella serata del film italiano (“In nome del popolo italiano” di Dino Risi) che inaugurava questi “Secret Screening” affermava che “Mentre nei bar di Locarno si sente la peggior musica del mondo, nelle sale del Festival si vede il miglior cinema del mondo”, dovrebbe forse chiedere venia per questo film che non è il miglior cinema del mondo, ma siamo anche convinti che l’impegno degli operatori di Locarno per riempire di musica la mancanza dello spettacolo cinematografico, non sia, sempre, solo la peggior musica del mondo.

Poi in chiave Lgbtq basterebbe vedere nella sezione Open Doors lungometraggi, online, “Masahista” (Il massaggiatore) un altro capolavoro del magico Brillante Mendoza, un film che il regista filippino ha girato nel 2005. Un film che è cinema in ogni inquadratura, in ogni movimento di macchia, in ogni luce, in ogni attore, perché la recitazione è stupenda. Un film dove la condizione della realtà omosessuale è resa nella linea quotidiana del vivere. Dove il vivere comprende anche la morte. Dove il sesso è gioco come gioco è la morte, e il vestire il morto e lo svestire il vivo sono gesti necessari parimente. E in tutto questo, magistralmente, Brillante Mendoza ci conduce alla similitudine delle lacrime per aver perso l’amore, per il gioire d’amplesso amoroso, e l’innamoramento, e si intende senza determinata qualità sessuale, per il dolore della perdita, e si intende morte e abbandono, in un gioco di yin e yang, tragicamente estraneo alla nostra cultura. Ed è comunque vita quella che il regista fa emergere, lussureggiante vita, libera da ogni condizionamento.


Masahista

O in chiave più ampia, sempre online, si dovrebbe vedere “Ché Phawa Daw Nu Nu” (Teneri sono i piedi) di Maung Wunna prodotto in Myanmar nel 1972 in uno dei momenti più oscuri della dittatura militare e nonostante questo il film è un canto di gioia e amore, ma soprattutto una lezione di libero cinema indimenticabile. Con precise pennellate il regista gioca tra fiction e documentario, inserendo nella lirica del racconto immagini di un paese povero e allo stremo, questo è il cinema che sfida il potere, vero cinema politico. E questo non è solo un film da vedere ma da ascoltare con attenzione è uno dei migliori musical della Storia del Cinema. “Ché Phawa Daw Nu Nu” ha come filo rosso la storia d'amore tra un umile batterista e un ambiziosa ballerina, tra canti e balli del teatro tradizionale birmano, senza far mancare i successi pop birmani degli anni '70. Fotografato in un bianco e nero di gran rilievo da Maung Soe e con due protagonisti di spessore come Zaw Win (il batterista) e San San Aye (la ballerina), il film emoziona, Questo è grande cinema, Online purtroppo, per nostra fortuna l’avevamo incontrato a Berlino al Forum e in sala fioccarono applausi e lacrime, come si conviene per una storia d’amore.


Tender Are the Feet