Intervista al neodirettore artistico e amministrativo dell’Orchestra della Svizzera italiana
Sarà Christian Weidmann il futuro direttore dell’Orchestra della Svizzera italiana: il Consiglio di fondazione ha infatti deciso di nominare il 45enne grigionese, attualmente sovrintendente della Argovia Philharmonic, per succedere a Denise Fedeli che, come annunciato, a settembre lascerà la direzione artistica e amministrativa dell’Osi.
Nato nel 1975 a Zurigo ma cresciuto a Coira, Weidmann ha lavorato con l’Orchestra sinfonica di Aquisgrana e in seguito all’Opernhaus di Zurigo, come manager del Zürcher Ballett col famoso coreografo Heinz Spoerli. Specializzato in management culturale, Weidmann si occupa anche di software gestionali pensati appositamente per le esigenze del mondo musicale.
Weidmann avrebbe voluto venire in Ticino per presentarsi ma, come ci ha spiegato al telefono da Aarau, non era possibile data la difficile situazione per l’epidemia con sale chiuse e concerti annullati. «Abbiamo discutato… discusso ieri se aveva senso fare l’annuncio, e alla fine abbiamo deciso che ci voleva una notizia positiva» ha aggiunto, correggendo subito l’errore – uno dei pochi, in un’intervista sostenuta in buon italiano.
Christian Weidmann, leggo dalla biografia che è diplomato in violino: ha ancora tempo per suonarlo?
Adesso che mia figlia ha dieci anni e suona il violino, ogni tanto suoniamo insieme. Ma suonare per me stesso, no: per ora non c’è tempo, speriamo in futuro.
I suoi interessi musicali? C’è qualche compositore preferito?
È una domanda difficile. Come musicista, dicevo sempre che il compositore preferito è quello che stavo suonando in quel momento – adesso, dipende molto dalla situazione, da quanto tempo ho a disposizione. Ma il compositore che, indipendentemente dalla giornata, riesce sempre a darmi positività è Brahms: quando lo ascolto posso dire che va tutto bene, posso dimenticare tutto quello che succede nel mondo. Per cui, a dover scegliere un compositore, Brahms – ma tutta la musica, tutti gli stili, sono per me importanti. Lo vedo con i miei figli, che ascoltano di tutto: l’importante è che ci sia musica.
Da amante di Brahms, cosa pensa del progetto ‘Rileggendo Brahms’ del direttore Markus Poschner con l’Osi?
Quando avevo letto del progetto, e del premio vinto (il Classical Musical Award nella categoria dvd performance, ndr), ho pensato: “Wow, ma cosa sta succedendo in Ticino?”. Perché i direttori d’orchestra dicono sempre “ah, qui mi servono 12, o addirittura 14 violini primi”, e arriva Markus Poschner che dice “all’epoca di Brahms c’erano al massimo 10 violini primi, torniamo al suono originale”. E queste sono le scelte stilistiche che mi piacciono, pensare all’orchestra per cui quella musica era scritta.
Quanto conosce il contesto musicale della Svizzera italiana, come il conservatorio e le altre realtà?
Non le conosco: per me è un mondo nuovo, da scoprire. Ovviamente so che c’è il conservatorio, ma la rete dell’Osi e della musica in Ticino sarà per me una novità. Come lo era per me in Argovia: otto anni fa tutto era nuovo, e sarà interessante scoprire la rete sociale e professionale della Svizzera italiana, vedere quali istituzioni ci sono qui con cui lavorare insieme.
L’Osi è attiva su due fronti: da una parte quello internazionale, con le tournée e le collaborazioni, dall’altra le iniziative locali. Come tenerle insieme?
È la domanda che, anche quando ero musicista, mi ponevo ogni giorno: per chi facciamo musica? Un’orchestra sinfonica in una città, in una regione o in un cantone fa musica per la gente che abita lì dove l’orchestra ha la casa. Poi, non so in italiano, ma in tedesco abbiamo questo modo di dire sui profeti all’estero: è importante viaggiare, andare altrove, fare esperienze da riportare poi a casa. Quindi le due attività sono egualmente importanti: non avrebbe senso dedicare tutto il tempo e tutte le risorse ad esempio in una tournée in America del Sud se poi non resta nulla per fare qualcosa che abbia un impatto qui dove l’orchestra ha la casa.
Da manager culturale, cosa dovrebbe fare un’orchestra come l’Osi? Specializzarsi in un repertorio specifico?
Credo che quello che è davvero importante è avere un’idea chiara su chi siamo noi musicalmente. Ed su questo l’Osi ha fatto dei progressi incredibili, con Markus Poschner ma non solo. Penso che sia uno dei punti più importanti per il futuro dell’orchestra: far capire non solo in casa, ma anche nel resto della Svizzera e all’estero che cosa è l’Osi, che cosa è in grado di dire e di fare. Progetti come ‘Rileggendo Brahms’ sono per questo molto importanti, perché fanno dell’Osi un’orchestra importante e rilevante all’interno del panorama musicale.
Quali sono quindi le sfide dell’Osi?
Se penso a quello che è successo dopo la separazione dalla radiotelevisione, è incredibile quello che si è riusciti a costruire. Una delle sfide sarà certamente mantenere il lavoro fatto, la nuova identità dell’Osi. Mi dicono che la sala del Lac è sempre piena, e questo è un bene, ma non ci si può fermare, non si può dare per scontato il successo, per cui la sfida sarà superare il già alto livello qualitativo raggiunto con ‘Rileggento Brahms’ o con il progetto dedicato a Rossini.
Negli ultimi anni si è occupato dell’Orchestra sinfonica del Canton Argovia. Vi sono punti di contatto con l’Orchestra della Svizzera italiana?
Le due orchestre sono molto diverse, ma vedo alcune similitudini. L’Argovia Philarmonic sta per avere una nuova sala da concerto, adesso in costruzione e a settembre avremo un nuovo direttore musicale.
Ma se penso al rapporto con il territorio, con i grandi centri della Svizzera tedesca – Basilea, Lucerna, Zurigo, Berna –, la Svizzera italiana ha le Alpi che sono una grande frontiera naturale. È una posizione che ha un grande potenziale, che permette all’Osi di essere coraggiosa, di fare qualcosa che gli altri non fanno senza doversi confrontare con la Tonhalle o con Lucerna.
Che cosa l’ha spinta ad andare dall’Argovia Philarmonic all’Osi?
Una bella domanda. Quando c’è l’occasione di fare nuove esperienze, mi sento attratto, mi piacciono le sfide. E qui c’è una nuova lingua, una nuova regione, ma non solo: l’Osi ha un grande potenziale, le volte in cui l’ho sentita suonare ho pensato che ci sono musicisti fantastici e un direttore, Markus Poschner, che ha idee, che è ottimo per l’orchestra.