cinema

Io, Ricky Turner ('Sorry we missed you')

'Cosa fai, rilevi McDonald’s? Ah, diventi quello del furgone bianco...'. La gig economy sfasciafamiglie nell'ultimo, doloroso, Ken Loach

Il franchising, 'quella cosa che divide i perdenti dai guerrieri'
18 gennaio 2020
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“Nemmeno per sogno”. Dice orgogliosamente di avere rifiutato ogni sussidio Ricky Turner (Kris Hitchen), che in quel lavoro come trasportatore freelance ci vede una casa di proprietà e una vita dignitosa per la propria famiglia, unita malgrado i debiti sin dalla crisi finanziaria del 2008. Se è vero che il franchising è “quella cosa che divide i perdenti dai guerrieri” – lo pensa il supervisore Maloney (Ross Brewster) – ben vengano quattordici ore di lavoro al giorno.

E se mille sterline di anticipo per acquistare un furgone sono troppe, si può vendere l’auto che serve alla moglie Abbie, assistente domiciliare (una commovente Debbie Honeywood), che per altrettante ore – il tempo di una ditata di Vicks Vaporub sotto il naso – entra ogni giorno nelle case degli anziani e ne raccoglie i frutti dell’incontinenza e altro inferno. “Cosa fai, rilevi McDonald’s? Ah, diventi quello del furgone bianco...” commenta il figlio Seb (Rhys Stone), che soffre l’assenza paterna e la sfoga come non dovrebbe; più accondiscendente la piccola Liza Jane (Katie Proctor), che si coccola il padre accompagnandolo in una delle consegne, ma somatizza quel lavoro che diventa via via schiavitù.

Il quinto protagonista di ‘Sorry we missed you’ di Ken Loach, nei cinema, è lo scanner che fa brillare i codici a barre dei pacchi e ti dice se sei un buon lavoratore o un buono a nulla. I “tempi stimati di arrivo”, e la totale reperibilità di Abbie, non permettono nemmeno di consumare una cena in famiglia, da concludersi tutti insieme nel furgone per soccorrere una delle anziane di Abbie. È questo il lampo di poesia nel dramma che fa amare il film che poteva anche non esserci, e invece c’è. E la cosa si deve agli ‘ultimi’, incontrati dal regista con Paul Laverty, cosceneggiatore, ai banchi alimentari per scrivere ‘Io, Daniel Blake’, film che doveva essere un addio. “Gente che aveva impieghi parttime, contratti a zero ore”, ha raccontato il regista; gente della gig economy, del “nuovo sfruttamento”, della quale non è stato facile raccogliere le voci (“Gli autisti erano reticenti a parlare, per il rischio di perdere il lavoro”).

L’anziana che canta ‘Goodnight, Irene’ spazzolando i capelli della disperata Abbie è l’unica armonia in una colonna sonora che in ‘Sorry we missed you’ è affidata ai ‘beep’ dello scanner, in un crescendo d’impotenza che culmina, prima del punto di non ritorno, in una domanda: nella finzione, è quella di una famiglia che si sta sfasciando, “Ma cosa ci stiamo facendo?”; nella realtà sarebbe “Ma cosa ci stanno facendo?”.