Anche nell'era del megabyte ('Un bite troppo grande per stare in bocca'), in 'Trascendi e sali' l'affabulatore affabula ancora. Eccome.
‘Buffer’, eccolo trovato il concetto. ‘Buffer’. Ben si spiega col traduttore simultaneo, il traduttore umano, che mentre ti riporta il concetto in lingua A, sta ascoltando il relatore in lingua B, catturando, memorizzando, archiviando, mettendo da parte; per poi rilasciare, ma sempre con l’orecchio altrove a catturare, memorizzare, archiviare, mettere da parte. Buffer. “In informatica, dispositivo di memorizzazione (detto, in ital., memoria tampone), in cui vengono accumulati provvisoriamente i dati che sono trasferiti da un’unità di elaborazione a un’altra avente velocità di elaborazione inferiore alla prima”.
La Treccani del web spiega un concetto prettamente per nerd (ma cosa saremmo senza i nerd, ce lo siamo mai chiesti?), un dispositivo che talvolta ha una sua applicazione extra-digitale. Sempre nel campo dell’umano, una situazione buffer può verificarsi in ambiti di comicità, quando il comico decide di inondare di calembour, giochi di parole, di assurdità con una certa logica, di assurdità coi piedi per terra e scemenze di classe; quando smonta e rimonta il lessico quotidiano, i detti e i non detti, i modi di dire, i miti e le leggende, Dio e i sottoposti; quando trita vocaboli e concetti alla velocità del tritatore simultaneo e ne fa comicità sparata in sala alla velocità del lanciapalle, dalla traiettoria oscillante tra le prime file, la balconata, lungo il corridoio, sulla linea del servizio o in prossimità di quella di fondo.
Succede sempre con Alessandro Bergonzoni, sin dai tempi di ‘Scemeggiata’, anno 1982, di cui non possiamo dirvi perché non lo abbiamo visto, ma ci assicurano fosse già così; e allora citeremo ‘Le balene restino sedute’ (1989), il libro che era uno spettacolo in entrambi i sensi, e ‘Madornale 33’ (1999), e ‘Nel’ (2007), 'Nel' teatro di un feudo dell’allora Lega Nord ‘Nel’ quale gli spettatori ridevano sfasati di un paio di battute, come il dramma del musicista che non si accorge di essere fuori di una battuta (musicale, in questo caso) e il resto della banda che invece va d’amore e d’accordo (musicale, anche in questo caso). Il buffer, appunto; il ritardo.
È accaduto anche martedì scorso a Bellinzona, con l’ultimo Bergonzoni al Sociale in ‘Trascendi e sali’. Lui se n’è accorto, e d’altra parte «a Bellinzona mi succede sempre», dice a fine spettacolo, fuori dalla porta e fuori dai denti. Merito del pubblico, colpa dei «carnefici vegani», della «crema dopo-sole inventata in netto ritardo» (per forza che l’inventore si è scottato), colpa del «cacciatore che sparava agli orologi a cucù» e altra varia umanità, «le quintessenze» dietro le quinte e fuori, invitati sul palco (ma non ci sono), prima analizzati, poi smascherati, alcuni giustiziati in pubblica piazza a colpi di parole, altri stipati come da un Noè di Bologna su di un'arca bolognese (e in mezzo Moser che in bicicletta divide le acque). Tutto così, senza sosta, per un’ora e mezza.
Arriviamo al punto. Al Sociale ci eravamo andati con uno scopo preciso: la statistica, la mera contabilità, il risultato; perché alla fine, nell’era del megabyte («Un bite troppo grande per stare in bocca»), sono i numeri quelli che contano. Armati di penna e taccuino, eravamo pronti a contare quante volte il pubblico avrebbe riso, come avrebbe riso, quando avrebbe riso, quanto tempo sarebbe trascorso tra la battuta e la risata, quanto e come sarebbe funzionato il buffer. La statistica, insomma, i numeri della partita alla fine del primo tempo di uno spettacolo senza intervallo.
Dopo trentatré minuti e trentasette secondi, quando cioè l’idea di monitorare l’immonitorabile si era rivelata per quel che era (un’immane stronzata), le risate istantanee erano comunque già 241; le risate dilatate – scaturite dalla battuta che prima arriva a destinazione, poi viene decodificata e soltanto dopo alcuni istanti produce il riso – erano già 16; gli applausi spontanei, 6. E mancava ancora un’ora di spettacolo. Il totale fatelo voi.