Stasera e domani al Sociale in 'Trascendi e sali', momento artistico di riscatto e tolleranza: 'A proposito della pelle: io dico che la razza è solo un pesce'
«Prova-prova-prova, sessanta-settanta-cento». Ognuno per provare il microfono usa i numeri che preferisce. Ancor più un genio della creatività lessicale dal quale è lecito non attendersi il più banale degli “uno-due-tre-prova”. Alessandro Bergonzoni è in partenza per la Svizzera, e quando le sue parole saranno in pagina sarà già a Bellinzona per portare al Teatro Sociale, stasera e domani alle 20.45, il suo quindicesimo testo teatrale. ‘Trascendi e sali’ è un teaser per le coscienze, la sveglia dal sonno della ragione, un invito a diventare ‘divini’ ivi riassunto dall’autore con annessi e connessi umani e umanistici.
Certamente. Noi siamo sempre pronti a trasalire o trasecolare di fronte alle notizie, di fronte alla vita, e in questo caso bisogna trascendere. Trascendere vuol dire andare sopra, salire. Non nel senso di abbandonare la realtà, o di sentirsi superiori, ma di guardare la situazione da un’altra dimensione. Dobbiamo salire, dicevo, stare sopra, ‘Trascendi e sali’ vuol dire scavare in alto, vuol dire salire da questo sfacelo, trovare una dimensione terza, una dimensione altra, e la gente, il pubblico, devono essere in condizione di trasalire sulla seggiola e trascendere a loro volta. Ecco, noi alziamo sempre il tono della voce, il tono della discussione: dovremmo alzarci noi. Dicevo tempo fa che ci si monta la testa: noi dovremmo montarci la testa non nel senso di esaltarci, ma di avvitarcela. Non si può più vivere solo di informazione, di social, di realtà e di cronaca: serve un altro tipo di esistenza.
Nello spettacolo parlo chiaro di una cosa: andare all’altro mondo. Ma non parlo di morte, piuttosto di pensare a un altro mondo all’interno di questo. Passare a miglior vita non vuol dire morire, ma passare a una vita migliore in questa. È il tema dello spettacolo, che non ha un tema in sé e per sé. È uno spettacolo pieno di persone, non solo davanti a me, ma anche dietro le quinte. Mi rivolgo a queste persone che sono le quintessenze, a questi ‘seminascosti’ che noi non vediamo ma che dobbiamo innaffiare e dar loro luce per far sì che prendano vita. Quindi parlo anche del nascondimento, e non per niente questo è uno spettacolo in cui mi si deve cercare; si vedono pezzi di testa, di mano, di gamba, poi, nella parte centrale, mi si vede completamente. La visione è importante, è importante avere una visione, cambiare questa visione. Dico nel mio spettacolo: “Ho visto Adamo uscire dall’Eden ed entrare in un altro cinema”. Il concetto di visione è anche un concetto di paradiso.
Io la ringrazio di questo aggancio. Paradossale che cos’è, appunto? Poter andare al di là della dimensione reale. Paradossale è parlare, nello spettacolo, di un anziano che sorprende un ladro in casa; lo sorprende ballando per tre ore nudo sul comò e il ladro, veramente sorpreso, se ne va senza rubare niente. È un caso di veemenza senile o è lo scatto d’anzianità? Che cos’è paradossale? Vedere studenti che hanno ucciso un professore di botte? Ma esiste poi il professore di botte? Vedere studenti ottusi girare l’angolo e diventare acuti? Ma il paradosso è anche dell’angolo: i lati vivevano liberi prima dell’invenzione del triangolo. Quindi è vero che io lavoro per paradossi, ma la gente deve rendersi conto di un’altra simmetria, di un’altra architettura: io vedo l’uomo che allunga le mani e, finalmente, smette di molestare le ragazze e fa l’ortopedico. Sai allungare le mani? Allora fai l’ortopedico. Sono tutti paradossi, che lavorano però su di una realtà e una coscienza. A un certo punto tu hai proprio la visione, attraverso il paradosso, della coscienza e non solo della scienza.
Sempre e anche in termini di paradosso. Nello spettacolo chiedo se la medicina ha fatto passi da gigante, se ha inventato le malattie autoimmani, le malattie dell’autoguarigione, se è di qualcuno l’autoguarigione che è fuori dal teatro. Che cosa s’intende per paradosso dell’autoguarigione? S’intende come poter guarire o come poter essere curati? Parlo anche della cura, e mi pongo questa domanda: nato per guarire è il medico o il paziente? È un paradosso, perché è chiaramente il medico quello nato per guarire. Ma tu, paziente, che fai per guarire? È importante capire. “Tolgo il disturbo”, dico all’inizio: ma sono un medico o sono una persona inopportuna? “Togliere il disturbo” è rivolto anche ai migranti: ci disturbate? Non ci disturbate? Siete sani? Vi curiamo? Chi cura chi? Questo è il punto.
Ecco, lei ha centrato il punto. Paradosso religioso. Semmai c’è qualcosa di spirituale. Io non sono una persona religiosa, ma parlo di spiritualità. Trascendere significa anche questo, però di religioso non c’è nulla. Nello spettacolo dico: “Religioni, per favore, scambiatevi le fedi!”. Ho parlato davanti al Papa, ho inviato un video quando è venuto a Bologna per chiedergli di pensare alla nostra parte divina, non di pensare a una divinità che ci divide. Le parole “divina” e “divide” hanno il medesimo inizio, dividere o divino. Noi siamo poco divini, dobbiamo cercare una mania di grandezza che non è il potere, vallo a raccontare alla politica, ma è la potenza, l’energia. È in questo senso che io penso ci sia qualcosa di divino, di spirituale. Ma le religioni spesso vogliono vincere, soffrono il rapporto agonia-agonismo, la supremazia. Ecco, questo tema della supremazia a me disturba molto. E anche per la questione della pelle. A proposito della pelle, io dico che la razza è solo un pesce. Ecco, allora il tema è anche religioso, se con “religioso” s’intende qualche cosa che abbia in sé una spiritualità profonda. E non è possibile che la politica non parli di spiritualità, perché ha a che fare con le anime e non solo con i corpi. È per questo che sono molto preoccupato per questa condizione politica che è troppo umana. Dobbiamo passare al sovrumano, come già dicevo nello spettacolo precedente.
È fondamentale. Dobbiamo risarcire Liliana Segre, dobbiamo risarcire l’Africa alla quale abbiamo tolto tutto. Il Rinascimento dev’essere interiore, mentre il Risorgimento siamo noi che dobbiamo sorgere, da “risorse”, che non è solo un discorso di denari, averi, economia; il Risarcimento è quello che noi dobbiamo dare, perché tutto ciò che mangiamo, compriamo, questo ‘abuso di potendo’, come lo chiamo io, deve terminare. Anche i giovani se ne stanno accorgendo. Tutto questo è una forma di risarcimento. Dobbiamo essere risarciti noi, in primis, risarciti di coscienza, giustizia, realtà, partendo dai casi di Cucchi e di Regeni; un risarcimento costante, sia in denaro, ai popoli ai quali abbiamo tolto tutto, sia da un punto di vista di libertà e di vita; il risarcimento di poter dare, con una misura politica e amministrativa adeguata, casa e terra a tutti e restituire la terra a noi stessi e alla terra, che abbiamo spolpato. Dicevo tempo fa che abbiamo perso la misura, il metro di quanto la violiamo. Stiamo violando altissimo. Ecco un altro tema: la statua dell’omertà è più grande della statua della libertà. Noi non diciamo, e invece dovremmo denunciare e a autodenunciarci. Non per niente i giovani stanno autodenunciando sé stessi perché non vogliono più vivere in questa dimensione. Stanno trasalendo, anch’essi.
Io, intanto, ho molta paura della parola speranza. Si dice che la speranza è l’ultima a morire e io voglio sapere sempre chi è il primo a rinascere. Il tema è quello, non si può sempre dire “speriamo”. I giovani hanno sicuramente in mano il governo, stanno ristabilendo e riscrivendo le leggi attraverso le azioni. È che noi siamo arrivati veramente in ritardo. Anche a me, non più giovane, piacerebbe esserlo – e in qualche modo sono, quando vado nelle piazze e nelle scuole – uno di loro. Perché non è una questione anagrafica, ma di gioventù interiore, di età diversa. Non possiamo più assolutamente pensare che i vecchi sono i vecchi, i giovani sono i giovani, i moribondi sono i moribondi, i sani sono i sani, perché la politica ha diviso tutto, ha diviso il Ministero della Giustizia da quello della Cultura, il Ministero dell’Istruzione da quello del Lavoro. La mia domanda è questa, e l’ho vissuto a Taranto: bisogna morire e non lavorare o vivere disoccupati? Qual è il rapporto tra istruzione e lavoro, tra scuola e giustizia? Quando dei carabinieri vessano e uccidono un ragazzo preso in carico dallo Stato, è una questione di istruzione e di giustizia, di bellezza e anche di lavoro, perché tu, il carabiniere, non lo stai facendo correttamente. Ecco, se si riuscisse ad abbattere tutto questo, forse i giovani ci racconterebbero come riscrivere la legge.
È così da sempre, ma adesso stiamo toccando un fondo di disperazione raro, unico. Il potere teme le persone che credono di avere dentro di sé il parlamento ideale. Le teme perché vuole continuare ad arrogarsi il potere di scegliere, di guardare un malato e dire “tanto è già morto”, una donna e dire “tanto è un essere inferiore”. Questo porta le persone a perdere una grossa libertà. E quando gli spiriti liberi la riacquistano, il potere ne ha paura perché è difficile da arginare, e impone il partito, la regola. Personalmente, mi sento in pericolo quotidianamente, ma non per la mia pelle e per quella dei miei figli, ma per la pelle degli altri miei figli. Io non ho solo due figli e due genitori, io sono pieno di genitori e di figli, e mi sento in pericolo per tutti questi figli che vengono inghiottiti dal mare. C’è un modo per invertire la tendenza, ed è cominciare ad avere un’anima. Nello spettacolo io dico “l’uomo non è in pericolo, l’uomo è il pericolo”, e resterà tale finché resterà umano, finché non diverrà sovrumano. Tornando allo spettacolo, finché non trascenderà, per diventare molto più divino.
Mi sono laureato in legge solo per volere paterno. Potessi tornare indietro, studierei lettere, farei il Dams. Gli anni dell’Università sono stati quelli più bui, più tristi. È stato il liceo ad avermi formato, sono state le letture e soprattuto le persone, gl’insegnanti di latino, italiano e filosofia. Sono loro che mi hanno reso più arringante.
Preferirei ‘Il jazzista del pensiero’, perché è un concetto musicale e io credo che la parola e la scrittura siano musica, suono, vibrazione, frequenze, luce, come dice il quantico delle creature, e i quantici questa l’hanno capita. Perché io non credo che ci sia parola, che è la punta dell’iceberg, se sotto di sé non c’è il pensiero.