'Non si è morti fin quando si desidera sedurre ed essere sedotti’: da Baudelaire le parole per evocare la magistrale direzione di Charles Dutoit.
L’ammaliamento, la passione, un distacco desiderante e la gioia del nuovo incontro: queste le fasi di una seduzione letteraria che mi ha ricondotto alla scaletta del concerto di Capodanno tenutosi lunedì sera al Lac di Lugano. Sì, la scaletta di questo straordinario concerto sembrava proprio una forma di seduzione per un pubblico attento, non solo per la grandezza degli attori, musicisti di un livello al di sopra dell’espressione unicamente tecnica, ma soprattutto per il filo conduttore. Il Maestro direttore, Charles Dutoit, bacchetta aurea dello scenario internazionale, ha proposto delle fasi prontamente ponderate per leggere più livelli della proposta come nei capolavori letterari.
Il concerto si è aperto con una suite per orchestra di Maurice Ravel, Ma mère l’Oye, che ha caratterizzato l’ammaliante conquista del pubblico attraverso una direzione elegante, liberante per l’orchestra ma sicura e dialogante con ogni singolo ingresso strumentale… Una danza tra il direttore che ha suonato un’orchestra invitandola a danzare. Come ogni storia d’amore, al di là del gossip storico, Dutoit ha mostrato la passione assieme ad una straordinaria Martha Argerich con il Concerto per pianoforte ed orchestra n.1 in mi bemolle maggiore di Franz Liszt. Conosciamo la forza scatenante da questa splendida partitura, ma una speciale passione scaturiva dalle svolazzanti scale, le ottave e i trilli che caratterizzano il tocco deciso, forte e, appunto, passionale dell’esecuzione della Argerich con cui lei riesce a trasmettere l’animo inquieto e gli ossimori caratteristici delle esperienze di Liszt.
Ad Otto Nicolai il compito non facile di seguire il Concerto di Liszt. Il carattere malinconico, specialmente nella prima parte dell’Ouverture Die lustigen Weiber von Windsor, mi ha fatto subito pensare ad una fase seduttiva del desiderio, quella lontananza che fa volgere il volto a delle stelle etimologiche (siderum) che assumono i lineamenti del volto lucente dell’amata. Chiaramente la scelta di Nicolai è stata anche un necessario legame storico e stilistico tra Liszt e Strauss jr, che ha colpito per il maturo accompagnamento del pubblico durante tutto il concerto fino a costringere, anche per una forma tradizionale, ad un ascolto privo di intervallo ma comunque leggero per la sua perfetta coerenza. La passione e l’attesa di incontrare nuovamente l’amata, forse anche visionaria figura del nuovo anno atteso, l’esplosione della gioia della musica di Johann Strauss jr ha chiuso letteralmente le tradizionali danze con un festoso sorriso degli orchestrali, del direttore e del pubblico in un ballo immaginato tra le sale imperiali di un’ottocentesca Vienna.
Il Frühlingsstimmen valzer op. 410, la Trisch-Trasch polka op. 214 e la polka veloce Unter Donner und Blitz op. 324 hanno preceduto la non annunciata, ma ovviamente attesa, Radetzky Marsch di Strauss padre. Chiaramente non mi sono soffermato sulla grandezza direttoria di Dutoit, sulla bravura della Argerich o sulla brillante esecuzione dell’Osi poiché erano talmente palpabili da chiunque ha potuto seguire il concerto, dal vivo o appena dopo in streaming su Rete Due, da non essere necessarie. Devo solo rimarcare, nuovamente, una delusione timbrica del pianoforte messo a disposizione alla Argerich, pur essendo un noto e affidabile strumento, mettendomi dei dubbi questa volta non tanto sull’accordatura delle ottave gravi ma proprio sulla prontezza timbrica. Il suono di questo pianoforte non giunge in platea con la tipica profondità e corposità di tutti i suoi fratelli e non comprendo se la sua sfortuna sia intrinseca o ambientale. Il secondo punto è la speranza che si possa giungere ad una cultura del pubblico, ritmica e percussiva, tale da riuscire a battere le mani, sulla Radetzky Marsch in questo caso, non necessariamente sul battere ma sul levare… Una speranza che migliorerebbe il gusto musicale del nostro 2019.