Lugano applaude per due sere di fila il suo riuscito 'Unplugged', condotto sul filo della storia tracciato da 'Sotto il segno dei pesci'
Riempire il Palacongressi per due sere di fila è cosa da pochi cantautori, categoria prediletta da GC Events. Ancor più con un 'Unplugged' che nulla ha a che vedere con il mostro sacro di turno che lucida i gioielli di famiglia senza aggiungere granché alla collezione. Non è il caso di Antonello Venditti, mai 'istituzionale' né sulla durata (nel 2014 all'Arcimboldi, per il tour di 'Ritorno al futuro', si fece l'alba) né sul cosa accadrà durante il concerto. Nemmeno nella celebrazione di 'Sotto il segno dei pesci' (1978-2018), che a Lugano avviene in formazione ridotta, uno dei motivi della sua piena riuscita.
Nel quartetto che lo accompagna non c'è il becco d'una chitarra elettrica: solo quella acustica di Alessandro Canini (anche alla batteria, con la 'pacca' di Max Weinberg), le tastiere di Angelo Abate e Danilo Cherni (anche in funzione di basso elettrico 'seduto') e il sax di Amedeo Bianchi, centravanti di sfondamento. Il "quinto Beatle" dietro il mixer (Pier Carlo Penta) doma superbamente l'acustica di un monumento al cemento chiamato Palacongressi che a tutto si addice tranne che alla musica (sindaco Borradori, di grazia, vi ponga rimedio).
«'Ste cose le faccio solo a Roma. So' concerti lunghi, complessi. Ce devi sta' con la testa». In camerino, ripercorrendo con lui il tour e la serata precedente, scopriamo l'hoch deutsch di Venditti («Ach so. Peccato, non lo parlo mai. In terza E, la classe di 'Giulio Cesare', facevo tedesco. I miei ci tenevano»), ne ascoltiamo le avventure giovanili sul Gottardo in direzione Olanda, nella Belfast visitata prima della guerra civile, poi l'artista butta lì un vocalizzo e si convince che la voce c'è, anche di sabato.
Il concerto lo aprono Marina e Giovanni, l'insegnante e l'ingegnere del manifesto 'Sotto il segno dei pesci'; segue a ruota l'intellettuale di Firenze cantato in 'Bomba o non bomba' (preveggenza renzista dallo stesso album). A parte 'Sora Rosa', le donne di Antonello ci sono quasi tutte: 'Sara', 'Marta', 'Giulia', 'Lilly'. Più tardi arriveranno anche Laura l'impiegata e Aicha la migrante, le donne di 'Che fantastica storia è la vita', una di quelle canzoni che danno un senso compiuto all'arte di raccontare il presente in meno di 5 minuti.
Il '68 vissuto «a modo mio» lo rievoca 'Compagno di scuola'; le “cosce tese chiuse come le chiese quando ti vuoi confessare” ('Notte prima degli esami') rivendicano il diritto delle donne di dire “no”; meno pubblica di 'Roma capoccia' è l'intima eternità di 'Le cose della vita', scritta 45 anni fa. Ma c'è anche il Venditti più da combattimento, aperto da 'Alta marea' e sfociato in 'Benevenuti in Paradiso', quando al PalaVenditti inizia a tirare un'aria da Studio 54...
La Svizzera presente in sala, che lo asseconda in tutto (anche nella sigaretta accesa sul palco), ricambia il Re di Roma che prende la via delle quinte alla maniera del Re del Rock and roll, su 'In questo mondo di ladri' che sfocia in rumba. E come Elvis consegnava l'asciugamano, il cantautore, alle prime file, regala il cappello. Tornerà, Venditti, solo per cantare 'Ricordati di me': dopo 2 ore mezza di musica, ma chi te se scorda Antonè...