Il Locarno Festival in cerca di un nuovo direttore s'interroga sul futuro: come tenere il passo dei cambiamenti? E soprattuto, un direttore è determinante?
Si potrebbe scrivere, magari con un po’ d’ironia, del film di 13 ore in concorso, personale saluto di Carlo Chatrian al pubblico locarnese. Oppure della prima di un vecchio quanto celebre capolavoro, ‘Liberty’ con Stan Laurel e Oliver Hardy, con colonna sonora dal vivo in Piazza Grande, in ossequio a una (piacevole) tendenza con cui negli ultimi anni si rispolvera una consuetudine dell’epoca del muto. Oppure della prima di una serie tv sempre sul grandissimo schermo sotto le stelle, a conferma della volontà del Festival di non invecchiare, ma di cambiare insieme al pubblico e alle sue abitudini. Si potrebbe ripetere che il programma presentato ieri conferma una Piazza in equilibrio fra esigenze, quindi fra film, diversi: il blockbuster americano da strappare con le unghie alla concorrenza, il film che unisce contenuti e spettacolo, la commedia, l’occasione di scoperta da cinematografie poco conosciute ma capaci di raccontare storie calate nel nostro tempo, come lo sviluppo del narcotraffico in America Latina.
Si potrebbe andare avanti a lungo, citando qualche titolo o qualche autore; magari augurandosi che, accanto all’ennesimo atto di finissimo onanismo intellettuale di uno Julio Bressane, non ci tocchi pure un’altra videoinstallazione nel concorso internazionale. Ma, parliamoci chiaro – e lo diciamo con un inquietante misto di sollievo e apprensione – i contenuti del Locarno Festival interessano poco (o pochi). Forse non proprio a caso gli stessi organizzatori gli hanno cambiato il nome, privandolo dopo 70 anni della parola “film”. Che non siano i contenuti a richiamare nugoli di spettatori lo confermano i dati del nostro sito internet, così come quelli degli altri portali d’informazione in rete. Fine della provocazione (o quasi).
Fatto sta, negli ultimi anni il Festival ha conosciuto un successo crescente. Allora, nel momento in cui ci si prende tutto il tempo per individuare il miglior successore di Carlo Chatrian (chiamato alla direzione della Berlinale), vien da chiedersi: di chi è il merito? Del direttore artistico? La risposta, modestamente, non ci convince. La nostra sensazione è che, ai fini del successo di pubblico (e del più generale afflusso di persone a Locarno nei dieci giorni d’agosto), così come della vendita a livello internazionale del marchio “Locarno Festival”, sia stato più pregnante il lavoro sviluppato negli anni dall’altro direttore, quello minore – l’uomo “operativo” – in particolare nella persona di Mario Timbal. A lui, ci pare, possiamo attribuire una visione coerente e riconoscibile, volta a valorizzare su più livelli l’atmosfera del Festival, per farne un’esperienza trasversale che oltrepassa i confini delle sale e della Piazza, e quindi del loro pubblico “canonico”.
La nostra impressione, in altre parole, è che il successo del Festival stia soprattutto nel suo essere evento a prescindere e nel suo valorizzarsi in quanto tale, senza troppi purismi; tornando pure a valorizzare le qualità di Locarno, senza ingessarsi troppo... Quello che sta dentro l’evento, purtroppo o per fortuna, è quanto meno secondario. Non saremo certo noi, qui, a giudicare l’operato di Chatrian in questi sei anni. Di certo crediamo che per caratterizzare davvero, oggi, un festival sul piano artistico, occorrano doti (e risorse) fuori del comune; soprattutto una visione, di nuovo, che sappia nutrirlo di orizzonti culturali ben più ricchi e compositi di quelli di un moderno cinefilo. Chatrian ha contribuito a valorizzare, o almeno preservare, quanto seminato negli anni, ma la sua linea del “tutto ciò che è cinema oggi” non sappiamo dire se lascerà ricordi particolarmente vividi. Né se avrà avvicinato più giovani al Festival “che non può invecchiare” (cit. Solari).