«È la terza volta che mi metto in fila per questo film, e anche questa volta non lo vedrò!», sospira delusa una spettatrice dopo una lunga coda davanti alla sala del PalaCinema per vedere ‘Abschied von den Eltern’ di Astrid Johanna Ofner. Non lo vedrà e lo stesso è successo a chi ha tentato più volte di vedere ‘Easy’ di Andrea Magnani. «Questo festival soffre il peso del grande successo. Le sale non riescono a rispondere alla domanda del pubblico, e poi il sistema alberghiero non è da grande festival» ci confida una collega francese.
Nel festeggiare settant’anni il Festival si trova a fare i conti non solo con il suo successo ma anche con la sua identità. Sono davanti a tutti le lunghe file degli spettatori della Settimana della Critica, che bivaccano in una bella sala, quella del teatro Kursaal, insufficiente da anni a contenerli, mentre davanti alla seconda sala del PalaCinema si sfiorano le risse per trovare un posto. È sicuramente un segno del successo per Locarno – dopotutto gente che fa la fila la trovi anche a Cannes e di più, dove entrare alla Debussy o alla Quinzaine o al Miramar per la Semaine è quasi da cinquina al lotto – ma il pubblico di Locarno è diverso. E il bello di questo Festival è il suo pubblico, forse più dei film, perché è un pubblico che ama davvero il cinema, che non ricerca i divi come negli altri Festival, ma mostra una sana curiosità.
Questo è un patrimonio da non disperdere. Per questo mentre a Cannes poco interessa chi sta fuori, per Locarno diventa fondamentale non lasciar fuori nessuno. Di più diventa fondamentale un discorso serio sulla ricezione alberghiera e sulla sua qualità: in tanti alberghi locarnesi sembra che addirittura il collegamento internet non sia una priorità! Di più, mancano luoghi come quello che era il Grand Hotel, che sono il Majestic o il Carlton a Cannes, l’Excelsior al Lido di Venezia, l’Hyatt a Berlino, luoghi che catalizzano oltre a rispondere a dei bisogni.
La risposta non può essere la Rotonda. Siamo stati testimoni di episodi spiacevoli, di persone alterate e violente che uscivano dalla Rotonda andando a condizionare la tranquillità di che andava da una sala all’altra, o solo passeggiava. Sarebbe stato bello se quel luogo fosse diventato qualcosa come a Cannes è il cinema sulla spiaggia e a Venezia il cinema a San Polo, dove convogliare non i film della Piazza, ma quelli che più sono reclamati dal pubblico. Una sala all’aperto in più. Non è fantascienza.
Poi, i film. Il direttore dovrebbe cercare di non mescolare il Concorso con i Cineasti del Presente. Quest’anno è successo e il risultato è stata una confusione di linguaggi, con film sperimentali, o figli di videoinstallazioni, che si sono trovati insieme nella competizione principale, con altri dal linguaggio più classico: film che hanno il loro destino nelle sale con film che non vedranno mai le sale per costituzione; film che nascono per essere visti di notte nelle tv e altri che non saranno mai visti fuori da un festival. E allora, ci domandiamo, a che cosa serve un Festival, e soprattutto il suo Concorso?
Il direttore risponde con i film. E allora ‘Mrs. Fang’, Pardo d’oro, con le sue decine di minuti fissi sul volto di una morente, è il nuovo cinema che Locarno manderà nelle sale del mondo? Lo stesso, lasciamo questo Festival con le immagini di ‘Meteorlar’ di Gürkan Keltek da far vedere cento volte a Erdogan, con quelle di ‘Did You Wonder Who Fired the Gun?’ di Travis Wilkerson da mostrare a Trump e con quelle di ‘Wajib’ (Il dovere) di Annemarie Jacir, con cui riflettere sul nostro tempo e sulla fatica di viverlo. Di questo sì possiamo dire grazie al Locarno Festival 2017.