Spettacoli

Festival di Sanremo – In nome del pop italiano

È cominciato il Festival di Claudio Baglioni, tra neologismi e nonnine volanti. Dal roof dell’Ariston, cronaca di una notte di ottuagenarie acrobatiche.

7 febbraio 2018
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Laura non c’è. Ma il Festival comincia, più forte della laringite e dei foniatri, che riporteranno sullo stesso palco mamma Pausini, in tempo per il prossimo sabato. Sanremo tradizionale e rivoluzionario, innovativo e paleolitico. Semplicemente Sanremo. Il giornalista che chiede se Laura Pausini abbia presentato regolare certificato medico all’azienda televisiva di Stato – «La Rai in questo modo non si fa rispettare!» – è un piccolo capolavoro degno di Totò e Peppino. È successo di mattina, nella quotidiana conferenza stampa fatta di numeri (l’hashtag baglioniano #iosonoqui ha quotazioni record già prima dell’inizio) e di anticipazioni: Sting questa sera, James Taylor domani. Da giorni, alcuni omini della compagnia telefonica si aggirano in forma di modem umano per controllare il 5G. A ora di cena si presentano alcuni poliziotti con un cane antidroga. Abbiamo anche ritirato il ‘votatore’. Che non è un individuo, ma una tastierina (o un tastierino) del quale si fa la prova voto (e in 6 falliscono). Girano pizze artigianali di cucinazione napoletana che tutti condividono (e non sono foto, ma pummarola e mozzarella di prima scelta). L’entusiasmo è tanto alto che se sul ‘Po, poppoppoppò’ creato da Baglioni come sigla – e fatto cantare a tutti quelli in gara, nessuno escluso – uscisse dal bagno Jim Morrison sobrio, nessuno ci farebbe caso. Perché tutti sono impegnati ad applaudire Fiorello, che incrocia i successi di Baglioni e Morandi in un riuscito mash-up, e – subito dopo – accoglie con lieve apprensione per le molte autocitazioni del discorso introduttivo il Baglioni entrato in scena dalla bocca di un’astronave bianco ghiaccio.

Le Nazioni Unite

Con la salivazione azzerata del Ragioniere, Claudio dice che «le canzoni sono arte povera, sembrano di poco valore. Ma hanno una forza evocativa grande», attingendo da ‘La vita è adesso’ e ‘Strada facendo’. Il silenzio durante le esecuzioni è di tomba, in sala stampa. I commenti alla fine delle esecuzioni, invece, sono più vicini al disturbatore da multisala. Colorite, a tratti grasse. Ma c’è chi si ricorda di fischi, ululati e inviti a farsi da parte rivolti allo schermo e al suo contenuto con modalità e gestualità tipiche dell’avanspettacolo. Qualcuno grida ‘volume!’ come nei cinema di periferia, ma la sala è signorile per i quattro minuti di Ron, che porta sul palco Dalla. Passate le ventidue, la sala stampa comincia a prendere le sembianze ben descritte da Pierfrancesco Favino di lunedì, ovvero le Nazioni Unite.

‘Muaaari’ e ‘Cuaaare’

Anche la compostezza è quella del congresso, perché i sobbalzi si fanno attendere. Il primo arriva dall’83enne Ornella Vanoni, che da Pacifico e Bungaro ha avuto in dono il perfetto equilibrio tra la modernità e il mondo degli ottuagenari che non deludono. Ma è il momento dei neologismi di Roby Facchinetti che – in un processo incontrovertibile iniziato in un tempo indefinito e in uno spazio altrettanto indefinito (quello che esiste, ampio e dilatato, tra le sue sillabe) – trasforma “muori” in “muaaari” e “cuore” in “cuaaare”. In questo convivio di anime e orecchie, alcune illustri, collocate con laptop e taccuini in ogni posto a sedere, che sarà una guerra tra ottuagenarie lo si capisce poco dopo le 23, quando ancora devono cantare in metà. Il roof s’infiamma quando Lo Stato Sociale porta in scena un’ottuagenaria ballerina acrobatica. Che ‘La Terra dei cachi’ sia stata per i bolognesi una folgorazione, ci crediamo.
Dopo l’ultima piroetta della nonnina volante, molti in soffitta, guardatisi in faccia a vicenda, hanno le idee più chiare. C’è il tempo per dare un commosso ‘Arrivedorci’ agli Elio e le Storie Tese. Non da leggersi in chiave di consegna, perché il rock and roll è bello, ma sono stati belli anche 37 anni di musica. Belisari e compagni, forse per la prima volta, devono aver preso alla lettera il direttore artistico, scrivendo per la musica, e per la musica soltanto. Il tributo di Assago, presto sul disco in uscita, è restituito dagli Elii in fila (il Tanica, lo pensiamo in fila anche lui, anche se al Teatro del Casinò) a ricambiare l’affetto di una generazione liberata dai paraocchi musicali e dalla voglia di omologazione.