I risultati dell’Indagine sulle lingue, la religione e la cultura raccontano una Chiesa sempre più fatto ideologico. Il vescovo: evitare nostalgici ritorni al passato
L’ufficio federale di statistica parla di “panorama religioso”, nel presentare i primi risultati dell’Indagine sulle lingue, la religione e la cultura 2019. L’espressione è appropriata: se nel 1970 la situazione era relativamente semplice, con le comunità protestante e cattolica a dividersi quasi alla pari la popolazione svizzera lasciando un 5% di altre fedi, adesso la situazione è molto più diversificata, non solo per appartenenza religiosa ma anche per credenze e pratiche.
In cinquant’anni cattolici e protestanti hanno lasciato il posto ad altre comunità cristiane, ai musulmani – la cui presenza si è stabilizzata intorno al 5% – e soprattutto a chi non sente di appartenere a nessuna comunità religiosa: i senza religione erano l’1,2% nel 1970, il 20,1% nel 2010 e il 27,9% nel 2018, superando quindi i protestanti.
Dal 1970 la percentuale dei protestanti si è praticamente dimezzata; più moderato, ma comunque importante, il calo di chi si riconosce nella religione cattolica: erano il 46,7% nel 1970, sono il 35,1% nel 2018.
Una tenuta, osserva l’Ufficio federale di statistica, dovuta alla migrazione: una buona parte delle persone immigrate in Svizzera negli ultimi decenni era infatti di religione cattolica, in particolare spagnoli e portoghesi a partire dal 1990. E dire che, dovendo associare una religione ai flussi migratori, il primo pensiero per molti è l’Islam.
L’effetto delle migrazioni si vede anche nella composizione anagrafica: i cattolici sono leggermente più giovani dei protestanti, anche se ben lontani dai musulmani (quasi la metà ha meno di 35 anni) e da chi non appartiene a nessuna religione (34,7% di under 35, ma negli ultimi anni sono aumentati soprattutto i non religiosi con oltre 65 anni).
L’Indagine sulle lingue, la religione e la cultura non si limita a studiare l’appartenenza religiosa, ma anche le pratiche religiose o spirituali, iniziando dalle funzioni religiose pubbliche.
Nel complesso, oltre il 70% delle persone partecipa a una funzione religiosa meno di cinque volte l’anno, perlopiù in occasione di un evento di ordine sociale come un matrimonio o un funerale.
Guardando i dati per appartenenza religiosa, i più assidui frequentatori di cerimonie religiose sono gli appartenenti ad altre comunità evangeliche, categoria che include le chiese evangeliche libere regionali e le comunità evangeliche internazionali, come pure le comunità battiste e anabattiste, metodiste, salutiste, pentecostali e carismatiche, messianiche e avventiste.
I meno praticanti sono ovviamente le persone senza appartenenza religiosa seguiti dai membri delle comunità musulmane: circa il 46% di loro ha dichiarato di non aver mai partecipato a una funzione religiosa collettiva nel corso dei dodici mesi precedenti l’indagine. Un dato da interpretare verosimilmente con le difficoltà a partecipare alle funzioni religiose (forse anche per questioni di discriminazione, vedi più avanti), dal momento che guardando la frequenza delle preghiere i musulmani sono religiosi in misura paragonabile agli appartenenti alle altre fedi, salvo di nuovo le altre comunità evangeliche dove un buon 80% prega quotidianamente.
Da notare che quasi una persona su cinque tra chi ha indicato di non avere un’appartenenza religiosa prega almeno una volta l’anno.
Ampliando lo sguardo alle cosiddette pratiche spirituali, quasi un quarto della popolazione ha praticato con intento spirituale una tecnica basata sul movimento o sulla respirazione, come ad esempio lo yoga, il Tai Chi o il Qi Gong; nel 2014 questa attività era praticata da meno di una persona su cinque. Le altre pratiche spirituali, inclusi l’utilizzo di oggetti che portano fortuna o assicurano protezione o guarigione (21,5%) e la lettura regolare di un testo sacro (15,8%), sono risultate stabili.
La meditazione, analizzata a parte, è pratica dal 40% della popolazione almeno una volta nel corso dei dodici mesi precedenti l’indagine; l’11% medita regolarmente, ovvero tutti i giorni o quasi. Rispetto al 2014 la pratica della meditazione è inoltre aumentata considerevolmente tra le persone tra i 15 e i 34 anni.
In generale, conclude l’Ufficio federale di statistica, negli ultimi cinque anni si è notata una tendenza a seguire pratiche religiose o spirituali più individuali.
“La religione non è solo una questione privata, bensì rappresenta un elemento centrale della cultura svizzera, d’importanza paragonabile al plurilinguismo” si legge nel rapporto. È in questa dialettica tra dimensione personale e collettiva che dobbiamo leggere i risultati sulle credenze delle persone, dove importanti percentuali di chi afferma di appartenere alla comunità cattolica o protestante ha dubbi sull’esistenza di Dio e al più crede “in una sorta di forza superiore”.
Nel complesso, la religione e la spiritualità hanno un ruolo piuttosto o molto importante nei momenti difficili della vita per oltre la metà della popolazione; mentre per il 42% rivestono un ruolo piuttosto o molto importante nell’educazione dei figli, anche se ben il 44% preferisce trasmettere ai figli valori che non siano né religiosi né spirituali. Comunque, per quasi l’80% della popolazione tutti i bambini dovrebbero ricevere delle istruzioni generali su tutte le grandi religioni del mondo.
L’Ufficio federale di statistica ha introdotto, con l’ultima indagine, anche alcune domande sulla discriminazione religiosa. L’8,2% della popolazione si è sentita discriminata a causa della propria appartenenza religiosa nei 12 mesi precedenti l’indagine, percentuale che sfiora il 35% per i musulmani e il 26,4% per le altre religioni (induismo, buddismo, ebraismo).
Scorrendo le statistiche, si trovano alcuni dati sorprendenti: il 20% delle persone che affermano di appartenere alla chiesa cattolica non sono andate neanche una volta a messa nell’anno precedente; il 18% si dichiara agnostico e addirittura un 6% ateo. «I dati di questo genere di indagini sociologiche attestano da tempo una profonda trasformazione in atto nella Chiesa, nella società e nella cultura del nostro tempo.» ci spiega il vescovo Valerio Lazzeri.
Lei, in quanto vescovo, come giudica questi cattolici?
Di fronte a questo fenomeno, penso che sia sbagliato dare giudizi sulle posizioni, le scelte e le opinioni di chi si è espresso nella consultazione. Si tratta di riflettere e di tentare di capire un fenomeno. Non di emettere sentenze o di imporre sanzioni.
Che messaggio rivolge a questi cattolici?
L’impegno del vescovo è, anzitutto, quello di ascoltare ciò che lo Spirito sta dicendo alla Chiesa nelle diverse situazioni storiche che è chiamata ad affrontare. Non si tratta di fare discorsi paternalistici o di avviare confronti in cui far scattare argomenti apologetici per spingere le persone a ricredersi e a cambiare i propri comportamenti. L’essenziale è impegnarsi tutti a far brillare la bellezza del Vangelo, che, come dice san Paolo, occorre annunciare, perché chi lo porta ne diventi partecipe insieme a chi lo riceve.
La preoccupa che una parte importante di chi si riconosce nella chiesa cattolica consideri questa appartenenza una questione culturale o ideologica slegata dalla fede?
Dopo secoli in cui il cristianesimo si è manifestato come un fatto ambientale di società prima che una scelta personale, non può essere sorprendente che vi siano persone che si riconoscano cattoliche per ragioni culturali o ideologiche senza aderire all’istituzione ecclesiale. E questo senza partecipare alle espressioni pubbliche o addirittura senza condividere un’esperienza di fede. Si tratta della realtà in cui siamo chiamati a far risuonare la Parola di salvezza, l’annuncio di Gesù Cristo, morto e risorto. La preoccupazione ansiosa di trattenere la gente, di avere i numeri, di non essere più rilevanti come una volta, la lascio a chi vuole a tutti i costi coltivare nostalgici ritorni al passato. Preferisco dedicarmi all’ascolto delle persone e dei loro vissuti. Sono sempre sorpreso da come Dio stia lavorando i cuori delle persone, anche nelle circostanze in cui meno ce lo si aspetterebbe.