Tremila miliardi di dollari: è il danno per l’economia mondiale di un vaccino per il Covid riservato solo ai Paesi ricchi. Per la Svizzera si tratta del 2,83% del Pil
Con gli ultimi contratti firmati, la Svizzera avrà accesso a vaccini sufficienti a vaccinare almeno il doppio della propria popolazione –incluse le persone che, per limiti di età o controindicazioni mediche, non possono vaccinarsi e quelle che non vogliono. Meglio, o peggio, ha fatto il Canada, con dosi prenotate sufficienti a vaccinare cinque volte la propria popolazione.
Una strategia giustificata dalla volontà di tutelarsi da eventuali ritardi nella consegna – come visto, la produzione su larga scala dei vaccini è complessa e può subire imprevisti – e ad assicurarsi scorte per eventuali richiami nel caso l’immunità dovesse rivelarsi temporalmente limitata. Tuttavia questa strategia, seguita grosso modo da tutti i Paesi sviluppati, rischia di portarci a una situazione in cui la parte ricca del mondo sarà completamente vaccinata mentre nel resto del pianeta si dovrà ancora iniziare a proteggere i soggetti a rischio. Secondo una stima della People’s Vaccine Alliance i Paesi ricchi, che rappresentano il 14% della popolazione mondiale, hanno già firmato contratti per il 53% della produzione dei vaccini più promettenti.
L’attenzione etica che abbiamo verso i piani vaccinali nazionali, che pretendiamo garantiscano la priorità a chi più ne ha bisogno indipendentemente dallo status socioeconomico o da altri fattori, si affievolisce fino a quasi sparire quando si guarda alla distribuzione tra Paesi: è il “nazionalismo dei vaccini” del quale in molti hanno evidenziato limiti e rischi.
Gli autori del Fair Priority Model, un modello di distribuzione dei vaccini sviluppato da alcuni esperti di etica clinica (E. J. Emanuel et al., ‘An ethical framework for global vaccine allocation’ su ‘Science’ dell’11 settembre 2020), riconoscono la legittimità di una preferenza nazionale che trova giustificazione nei legami associativi tra cittadini, ma questa preferenza dovrebbe limitarsi a tenere sotto controllo la pandemia. A quel punto, scrivono gli autori, non vi sarebbero giustificazioni etiche per non condividere le dosi di vaccino con Stati in cui la malattia è invece in rapida diffusione.
Il ritardo dei Paesi meno sviluppati rischia anzi di dar via a paradossi: in base all’accordo firmato con l’Università di Oxford, AstraZeneca venderà il suo vaccino senza profitti finché la pandemia sarà in corso. Dopo di che, sarà fissato un (più alto) prezzo di mercato. La casa farmaceutica ha già fissato una prima scadenza: il 1º luglio 2021 valuterà, in base alle condizioni sanitarie, se iniziare con il nuovo regime. È quindi possibile che a usufruire maggiormente della vendita a prezzo di costo siano i Paesi ricchi.
“Nessuno sarà al sicuro finché ognuno non sarà al sicuro” è una frase che Tedros Adhanom, direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità, ripete spesso durante le conferenze stampa. È anche il motto del progetto Covax: iniziativa della stessa Oms insieme ad altri partner per finanziare lo sviluppo e la distribuzione in tutto il mondo dei vaccini contro il Covid-19. Nonostante l’adesione di numerosi Paesi, tra i quali la Svizzera, il progetto rischia di non raggiungere i propri obiettivi se non con forti ritardi: in base all’ultimo rapporto sulle forniture, le dosi finora assicurate dovrebbero coprire il 3,3% della popolazione dei Paesi partecipanti. Questione di fondi insufficienti, in primo luogo, ma anche politica: Russia e Cina, pur avendo contribuito finanziariamente al progetto, preferiscono fornire i propri vaccini Sputnik V e Sinovac direttamente ai Paesi interessati.
La distribuzione globale dei vaccini rischia quindi di essere un fallimento etico e geopolitico. Ma i problemi di una distribuzione fortemente ineguale potrebbero essere anche sanitari ed economici.
Il coronavirus ha già dimostrato di saper superare i confini nazionali: il rischio è non solo quello di nuovi focolai di importazione, i cui danni sarebbero comunque contenuti dalle vaccinazioni, ma dello sviluppo di nuove varianti potenzialmente in grado di ridurre l’efficacia dei vaccini. I territori in cui il virus continua a circolare sono quelli in cui il virus continuerà a mutare.
Le conseguenze più gravi di queste disuguaglianze internazionali potrebbero però essere economiche. Anche un Paese con buona copertura vaccinale rischia di avere una ripresa economica limitata, o restare addirittura in recessione, se anche solo una parte dei propri partner commerciali è ancora alle prese con la pandemia.
Uno studio finanziato dalla International Chamber of Commerce Research Foundation ha provato a quantificare gli effetti: a seconda dei modelli, i danni per l’economia globale ammontano a migliaia di miliardi di dollari, in buona parte a carico dei Paesi sviluppati nonostante la buona copertura vaccinale. Durante una pandemia i consumatori adattano i propri consumi, modificando quindi la domanda di prodotti e servizi con conseguenze sulle importazioni; la forza lavoro si riduce – l’Organizzazione mondiale del lavoro stima che nel 2020 le ore lavorative si siano ridotte dell’8,8% – con conseguente diminuzione dell’offerta sia di prodotti intermedi sia di prodotti finiti.
«I governi non sono stati in grado di comprendere le interconnessioni, in particolare l’impatto sul commercio di beni e servizi delle filiere internazionali interconnesse» ha affermato, in una conferenza stampa organizzata dall’Oms, il segretario generale della Camera di commercio internazionale John W.H. Denton. Garantire un equo accesso globale ai vaccini «non è carità, ma buon senso economico».
Buon senso, come detto, sostenuto dalla ricerca condotto da un gruppo di economisti guidato da Sebnem Kalemli-Ozcan, professoressa all’Università del Maryland, e pubblicata nella serie di working papers del National Bureau of Economics Research. Nel loro lavoro sono stati presi in considerazione 65 Paesi, tra cui la Svizzera, e 35 diversi settori industriali, valutando in dettaglio non solo le relazioni commerciali internazionali, l’approvvigionamento di materie prime, ma anche l’impatto di eventuali restrizioni come il distanziamento sociale sulle varie professioni.
La ricerca presenta alcuni limiti, il principale dei quali – ha osservato Tommaso Monacelli, professore di macroeconomia all’Università Bocconi sentito da ‘Scienza in rete’ – è non considerare i possibili adattamenti del mercato del lavoro. Non sono neanche valutati in maniera approfondita i costi di una vaccinazione che procede alla stessa velocità in tutto il mondo: il budget del progetto Covax è probabilmente insufficiente. Ma anche tenendo conto di queste incertezze, la differenza tra i costi di un vaccino equo e globale e i rischi economici rimane enorme.
Siamo un’unica umanità: se non dai punti di vista sociale ed etico, quantomeno da quelli della salute e dell’economia.
I ricercatori hanno preso in considerazione tre scenari epidemiologici, valutati ognuno secondo tre modelli economici. Nel primo scenario si ipotizza che nei prossimi mesi potremmo infatti assistere alla conclusione delle campagne di vaccinazione nei Paesi ricchi, mentre gli altri Paesi restano fermi al palo; il secondo scenario aggiunge che, per contrastare il contagio, i Paesi in via di sviluppo impongano dei lockdown; nel terzo scenario, infine, si ipotizza un avvio, per quanto lento, delle vaccinazioni anche nei Paesi in via di sviluppo.
Dei tre modelli economici, il primo prende in considerazione solo il calo della domanda nei Paesi ancora colpiti dalla pandemia: i Paesi ricchi sarebbero quindi confrontati unicamente con un calo delle esportazioni, ma non delle importazioni di materie prime o prodotti intermedi e finiti. Nel secondo modello si prende in considerazione anche questo calo della produzione dei Paesi in via di sviluppo, considerando possibili compensazioni tra settori economici (se l’industria manifatturiera si trova a corto di acciaio, può accedere a parte di quello dell’edilizia). Il terzo modello non considera invece queste compensazioni interne possibili, almeno nel breve periodo.
Per le economie avanzate lo scenario più favorevole, che è anche quello meno probabile, è quello in cui i Paesi in via di sviluppo sono senza vaccini e controllano la pandemia tramite lockdown che però non riducono la produzione. Anche così il danno per le economie avanzate ammonta a oltre 200 miliardi di dollari: cinque volte il budget previsto dall’Oms per portare a termine l’iniziativa Covax, 38 miliardi, e 18 volte il budget effettivamente disponibile di 11 miliardi.
Lo scenario più verosimile, con una lenta campagna vaccinale nei Paesi in via di sviluppo, lockdown e conseguente riduzione non compensabile delle esportazioni, prevede un costo globale di 3’763 miliardi di dollari, quasi la metà a carico delle economie avanzate. Questo scenario comporterebbe, per la Svizzera, un calo del Pil del 2,83%.