Nel 2019 sono cresciuti i frequentatori di festival. La radio perde minuti di ascolto ma rimane il media più utilizzato dagli svizzeri.
Stabilità, in alcuni casi addirittura crescita: la statistica sulle attività culturali in Svizzera mostra che le forme “tradizionali” di fruizione – come visitare un museo o un monumento, leggere un libro cartaceo, seguire un concerto o un festival – rimangono nelle abitudini della popolazione nonostante la disponibilità di nuovi strumenti digitali.
Ci si riferisce, prima premessa importante, al 2019: prima quindi che la pandemia e le misure restrittive fermassero o riducessero l’attività di musei, cinema e sale da concerto e teatrali, spostando parte di queste attività online. La statistica sulle attività culturali è parte dell’indagine tematica sulla lingua, la religione e la cultura ed è effettuata ogni cinque anni. L’Ufficio federale di statistica non ha intenzione di anticipare il prossimo rilevamento: gli effetti – a questo punto a lungo termine – della pandemia sulle abitudini culturali della popolazione li conosceremo quindi nel 2025. Nei prossimi mesi è comunque prevista la pubblicazione di alcune statistiche culturali relative al 2020: in marzo quella sui cinema, in aprile una prima analisi sull’economia culturale mentre a luglio e a novembre avremo i dati sull’utilizzo di biblioteche e musei.
La seconda premessa è che questa statistica rimane sugli aspetti generali, senza quantificare ad esempio quante volte le persone sono andate al cinema o al museo. Dati più dettagliati sono tuttavia presenti in altre statistiche. Così se dai dati appena pubblicati scopriamo che radio e televisione rimangono gli strumenti più utilizzati per ascoltare musica (l’89% della popolazione li ha usati nel 2019) con un calo contenuto rispetto al 2014, dalla statistica sui media registriamo che nello stesso periodo il consumo radiofonico è passato da 100 a 92 minuti la settimana. Insomma, la “rivoluzione digitale” come viene definita nella statistica non cancella del tutto le vecchie abitudini ma ha comunque un impatto.
Vediamo i dati generali. Nel 2019 quasi i tre quarti della popolazione hanno visitato monumenti e siti storici o archeologici (74%), seguiti da vicino da quelli che hanno assistito a concerti (72%) e che hanno visitato musei e mostre (71%). Poco più di due terzi (67%) si sono recati al cinema. Rispetto al 2014 le quote sono molto stabili, nonostante la crescente concorrenza costituita dalla fruizione della cultura mediante sistemi digitali. Per quanto riguarda le visite a monumenti, si riscontra un aumento dal 70 al 74%, forse legato alle iniziative per l’Anno del patrimonio culturale.
Più consistente, e apparentemente non legato a circostanze, è l’aumento dei frequentatori di festival (musicali, teatrali, cinematografici): dal 2014 al 2019 si è passato dal 38 al 47%, quasi uno svizzero su due. L’incremento riguarda tutte le fasce di età, ma in particolare tra le persone anziane.
Come nel 2014, anche nel 2019 quasi i due terzi della popolazione (65%) hanno praticato un’attività culturale dilettantistica. La più diffusa rimane la fotografia (25%), seguita da disegno, pittura, scultura o intarsio, dal canto e dal suonare uno strumento (18%). Tra gli hobby meno praticati troviamo invece il rap e il teatro amatoriale.
Non vi sono particolari differenze tra le regioni linguistiche: i romandi sono particolarmente interessati ai festival, gli svizzero-tedeschi agli zoo e alle manifestazioni cittadine, i ticinesi agli spettacoli di danza. A fare la differenza è soprattutto il profilo sociodemografico delle persone, in particolare per il livello di formazione. Ad esempio, tra le persone che assistono a concerti di ogni genere, quelle con un diploma del grado terziario sono quasi il doppio (83%) rispetto a quelle che si sono fermate alla scuola dell’obbligo (43%). Importante, soprattutto per le pratiche, la disponibilità finanziaria: nelle economie domestiche dal reddito basso fa musica l’11% delle persone intervistate, mentre in quelle finanziariamente solide tale percentuale raddoppia (22%).
La mancanza di mezzi finanziari è del resto il secondo ostacolo alla partecipazione alle attività culturali, indicata dal 32% degli svizzeri (in leggero calo rispetto al 2014); il primo motivo rimane comunque il poco tempo a disposizione.
Due gli approfondimenti dell’Ufficio federale di statistica. Il primo riguarda la musica: i concerti come detto sono tra le attività più popolari. Tuttavia l’alta percentuale di chi ha seguito almeno un concerto (72%) si suddivide nei pubblici separati dei vari generi, con pop, rock, metal e punk in testa (29%) seguiti a breve distanza da musica classica e lirica (25%).
Ad assistere ai concerti di musica classica sono più le donne che gli uomini e più gli anziani che i giovani; il livello di istruzione è invece un fattore importante sia per i concerti di musica classica sia per quelli pop. Da notare che nei generi più ascoltati a casa, cantautori e musica leggera superano il pop e il jazz la classica.
Restando all’ascolto privato, si nota un marcato cambiamento negli strumenti impiegati: crollo di cd e dvd (utilizzati da poco più della metà della popolazione) e di lettori mp3, sostanzialmente sostituiti da internet e smartphone. Ma il media più utilizzato dalla popolazione rimane comunque la radio, popolare tra tutte le fasce di età.
Il secondo approfondimento riguarda invece i libri. Gli svizzeri continuano a leggere: l’83% ha letto almeno un libro nel 2019; il 30% più di uno al mese, dati paragonabili a quelli del 2014. Nettamente aumentata la quota di persone che leggono e-book, passata dal 15 al 25% della popolazione. A modificarsi è pure il profilo sociodemografico dei lettori di e-book: nel 2014 a leggere libri elettronici erano prevalentemente gli uomini, mentre nel 2019 tale differenza si è praticamente annullata. Lo stesso vale per l’età di chi legge in formato elettronico: nel 2014 erano prevalentemente persone di 30–44 anni, mentre oggi lo fanno in egual misura tutte quelle di meno di 60 anni. La statistica distingue tra letture ricreative e di studio o formazione: queste ultime sono maggiormente diffuse tra gli immigrati di seconda generazione che tra gli immigrati di prima generazione o le persone senza un passato migratorio.