Scienze

Premio Möbius, un algoritmo per riparare le proteine

Intervista a Manolo Bellotto, presidente di Gain Therapeutics, dal Ticino al Nasdaq

Manolo Bellotto ha ritirato un premio speciale per i venticinque anni di Möbius
(Ti-Press)
18 ottobre 2021
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Si è conclusa sabato l’edizione del 25º del Premio Möbius: numerosi gli ospiti di questa due giorni dedicata alla cultura digitale – sul sito www.moebiuslugano.ch è possibile rivedere molti degli interventi –, per discutere di intelligenza artificiale, futuro dell’informazione, internet delle cose e altri aspetti di un futuro in buona parte già presente.
La giornata di sabato ha visto anche la consegna dei premi. Per il Grand Prix Möbius Suisse ha vinto Wyth Sa per la sua piattaforma per eventi ibridi e digitali, mentre il Grand Prix Möbius Editoria Mutante è andato a Ated-Ict Ticino per il progetto di fiera virtuale Swiss Virtual Expo. Infine, il premio giovani per gli studenti del corso di laurea in comunicazione visiva della Supsi, dedicato quest’anno alla valorizzazione dell’epistolario dello scultore Vincenzo Vela: il video ‘Le vittime del lavoro’ di Danijel Cancar è risultato il migliore.
Sabato sono stati anche consegnati due premi speciali per il Venticinquesimo: uno all’Oasi, l’osservatorio ambientale della Svizzera italiana, e l’altro a Gain Therapeutics, azienda nata in Ticino nel 2017 e adesso quotata al Nasdaq, il listino dei principali titoli tecnologici della Borsa statunitense. «Per noi portare l’azienda al Nasdaq è stato un grande progetto che ha richiesto circa sette mesi di lavoro, collaborando con quasi cento realtà esterne tra avvocati, consulenti, banchieri… » ci ha spiegato Manolo Bellotto, presidente dell’azienda, ricordando – «non per ingraziarseli, ma per riconoscerne i meriti» – chi all’inizio ha sostenuto questo progetto: «Siamo nati grazie al fondo TiVentures della Fondazione del Centenario di BancaStato, nella persona di Lorenzo Leone, e altri due cofondatori. Poi abbiamo ricevuto il sostegno di due famiglie presenti in Ticino e legate alla farmaceutica, Zambon e Braglia della Helsinn».
Bellotto è nato in Ticino, studi prima a Basilea e poi a Zurigo. E adesso questo progetto nel campo delle malattie rare e neurodegenerative. «Tutto parte da una tecnologia computazionale sviluppata all’Università di Barcellona, una tecnologia che permette di identificare i composti chimici che vanno a ridare una struttura tridimensionale “normale” a proteine che se rimangono deformate portano a malattie».
La struttura tridimensionale di una proteina è una sorta di complicatissimo origami, essenziale per svolgere le funzioni biologiche ma difficile da prevedere conoscendone semplicemente la sequenza degli aminoacidi che la compongono. «Noi partiamo da proteine delle quali si conosce già la struttura: quello che facciamo è identificare ‘in silico’, cioè virtualmente grazie al nostro algoritmo e a dei supercomputer, quelli che in linguaggio edilizio chiamerei dei “punti di ancoraggio” che se “puntelliamo” con alcune molecole mantengono la struttura tridimensionale corretta». Le proteine “sbagliate” non svolgono infatti la propria funzione, sviluppando malattie e rischiando di provocare la morte delle cellule. Cosa che, spiega Bellotto, può diventare l’obiettivo della terapia, se si prendono ad esempio di mira cellule tumorali, “destabilizzando” le loro proteine.
Abbiamo quindi due possibili applicazioni per questi “puntelli”, a seconda che si vogliano stabilizzare proteine per evitare lo sviluppo di malattie o al contrario destabilizzare le proteine che si trovano in cellule tumorali. E Gain Therapeutics è – «a quanto ci risulta, perché poi ci sono segreti industriali che ovviamente non possiamo conoscere» ha precisato Bellotto – l’unica ad avere una soluzione virtuale per cercare questi puntelli. «Chi sta cercando questi “puntelli biochimici” lo fa per tentativi ed errori, seguendo quella che in inglese si chiama ‘serendipity’, ma il nostro approccio è un centinaio di volte più efficiente. Partiamo con un centinaio di molecole sulle quali lavoriamo ‘in silico’ per qualche mese, l’approccio standard prevede invece anche centomila molecole per mesi o anni».
Un’accelerazione della prima fase di ricerca, ma è anche presto per parlare di terapie: «Tutti i nostri progetti devono essere successivamente validati in vitro e in vivo: da quello che abbiamo visto finora, con i progetti che sono già arrivati a quelle fasi, le molecole che abbiamo identificato hanno buone possibilità di “riparare” quelle proteine non bene formate».
Per proseguire con la sperimentazione è ovviamente necessaria l’alleanza con qualche azienda farmaceutica. «Al momento siamo in accordo con due, una giapponese dedicata alle malattie rare e l’altra è una ditta biotech statunitense nell’ambito dell’oncologia».
Concludiamo chiedendo quanto sia cresciuta, in questi anni, l’azienda. «Siamo partiti da un locale a Manno e poi a Barcellona, perché come detto l’algoritmo è stato sviluppato lì da quello che adesso è il nostro ‘chief scientific officer’. Oggi, se non ho perso il conto, siamo 27 persone su tre sedi: Lugano, dove si gestisce la ricerca globale e la parte amministrativa, poi Barcellona, dove si fa la ricerca di base, mentre il quartier generale ‘corporate’ è a Bethesda nel Maryland, è stato necessario insediarlo lì per accedere a maggiori finanziamenti, cosa che ha permesso di essere listati al Nasdaq». Difficile lavorare così divisi? «La nostra fortuna è che nelle varie sedi ci sono persone che già si conoscono, che hanno rapporti personali e una visione comune. Anche durante la pandemia non abbiamo perso tempo e anzi abbiamo accelerato».