Secondo una ricerca, preconcetti sull'abilità lavorativa delle donne presenti soprattutto in chi pensa che la parità sia stata raggiunta
Nel 2020 esistono ancora “lavori da maschio” e “lavori da femmina”: non nel senso di discipline o professioni che sarebbero più congeniali agli uomini oppure alle donne – anzi: le ricerche che riescono a “contenere” gli effetti sociali mostrano pari abilità tra i generi –, ma semplicemente percorsi formativi maggiormente frequentati da uno dei due sessi. Un problema che si affronta cercando di “favorire” – ma forse sarebbe meglio dire “non più sfavorire” – il sesso sottorappresentato ma raggiungere la parità in una professione basta a superare o attenuare pregiudizi sessisti?
Se lo sono chiesto alcuni ricercatori britannici e la risposta è: no. La ricerca, pubblicata su ‘Science Advances’ a firma di Christopher Begeny e altri, ha preso in considerazione i veterinari del Regno Uniti. Una scena non causale: si tratta di una professione che è stata a lungo maschile ma che col tempo ha raggiunto un pari numero di veterinari e veterinarie da almeno una decina d’anni. Abbastanza a lungo, scrivono i ricercatori, non solo perché i pregiudizi più tradizionali, riguardanti le abilità di uomini e donne, siano svaniti, ma soprattutto perché si smetta di percepire quel senso di minaccia dovuto a cambiamenti sociali recenti o repentini.
In un primo tempo, i ricercatori hanno chiesto a un migliaio di veterinari e veterinarie se hanno subito discriminazione di genere al lavoro e sentono riconosciute le proprie competenze. Prevedibilmente, le donne si sono dette più discriminate e meno apprezzate degli uomini ma si tratta di un’autovalutazione: determinante è il secondo studio condotto dai ricercatori. Un finto curriculum, con aspetti positivi e negativi, è stato sottoposto ad alcuni direttore e dirigenti chiedendo una valutazione complessiva e un ipotetico salario per quella persona. Solo che metà dei curriculi era relativa a un veterinario, l’altra metà a una veterinaria. In generale, Mark ha avuto una valutazione superiore a Elizabeth (questi i nomi dei finti profili) e, se fosse stato assunto, avrebbe anche avuto maggiori possibilità di carriera e, ovviamente, uno stipendio più alto.
Già altre ricerche hanno mostrato come i criteri di valutazione vengano “adattati” a seconda del sesso del candidato, pesando diversamente debolezze e punti di forza – il che dimostra l’importanza della ancora poco diffusa pratica dei curriculum anonimizzati. La ricerca di Begeny è interessante non solo perché conferma la presenza di questi pregiudizi anche in professioni ormai non più prevalentemente maschili, ma perché, dopo questo test, hanno sottoposto un’altra domanda ai dirigenti: “Secondo voi nel settore della veterinaria c’è discriminazione di genere?”.
La risposta a questa domanda è fortemente correlata alla diversa valutazione del curriculum – ancora più del sesso del dirigente. In altre parole: a discriminare non sono tanto gli uomini rispetto alle donne, ma le persone che credono che le pari opportunità non siano più un problema rispetto a chi invece è conscio che il problema esiste ancora. I ricercatori parlano di un piccolo paradosso: a perpetuare i pregiudizi di genere sono proprio quelli che affermano che non esistono più. Ma è un paradosso apparente, se teniamo conto che si tratta di pregiudizi impliciti e quindi che sfuggono a chi non è attento. Da qui una serie di raccomandazioni: impegnarsi per una presenza paritaria è certo importante per quei settori dove vi è ancora un forte disparità di genere e aiuta a creare ambienti maggiormente inclusivi, ma non basta. Bisogna anche sensibilizzare le persone che pregiudizi e preconcetti possono rimanere anche una volta raggiunta la parità e, soprattutto, che per superarli bisogna essere consapevoli della loro esistenza.
Ultimo aspetto degno di nota della ricerca: l’ipotetico salario di Mark ed Elizabeth è stato confrontato con i salari reali dei dipendenti del dirigente, determinando una disparità di stipendio dell’8 per cento circa – il livello effettivamente presente nel settore. Ed equivale a circa 1,75 dollari in più di paga oraria, moltiplicato per le duemila ore di un anno lavorativo.