Intervista a Gianluca Ruggieri, ospite del secondo incontro digitale dell'istituto i2a di Lugano dedicato alle sfide dello sviluppo sostenibile
Storie di sostenibilità, al secondo incontro digitale del ciclo Il Raggio Verde dell’istituto i2a di Lugano: ospiti virtuali, martedì 19 maggio alle 21 sulla piattaforma Zoom (zoom.us/j/188157214), Felix Hallwachs della Little Sun Foundation la cui piccola lampada solare ha migliorato la vita di oltre due milioni di persone, e Gianluca Ruggieri, ricercatore all’Università dell’Insubria e autore con Fabio Monforti di ‘Civiltà solare’ (Altreconomia 2016).
Gianluca Ruggieri, questo secondo ciclo di incontri del Raggio verde è incentrato su iniziative concrete per il clima. Il solare rientra tra queste, è insomma una tecnologia pronta a fare la differenza?
Prima di rispondere credo convenga mettere le cose nella giusta prospettiva. Ci attendono sfide enormi, perché gli obiettivi di decarbonizzazione per il 2050 rappresentano un’impresa che non ha eguali nella storia dell’umanità, qualcosa che dovremmo fare molto velocemente, ovunque nel mondo e i cui effetti si manifesteranno dopo generazioni.
Se vogliamo ottenere questi risultati, ci sono certamente aspetti tecnologici che vanno affrontati, ma ci sono anche aspetti economici, politici e di comportamento personale. La dimensione dello sforzo è tale che sono tutte necessarie: se manca anche solo una di queste pregiudichiamo il risultato complessivo.
Insomma, non avrei dovuto chiedere se i pannelli solari sono pronti, ma se lo siamo noi.
La domanda iniziale era corretta, ma è meglio inquadrare sempre i problemi nel contesto generale. Detto questo, il solare – e in particolare il solare fotovoltaico, è una tecnologia che negli ultimi 10-15 anni ha migliorato in maniera sostanziale le prestazioni sia per quanto riguarda l’energia prodotta, sia nella produzione: oggi costruire un pannello richiede molte meno risorse e molta meno energia, il che si riflette sui costi che sono crollati e continuano a scendere. Tanto che oggi, in tantissimi Paesi – ma ovviamente l’analisi va fatta caso per caso perché le variabili sono molte – è la fonte più economica di energia. Cosa impensabile dieci anni fa.
Immagino non sia il caso di Paesi come l’Arabia Saudita o gli Emirati Arabi Uniti.
Però a Dubai hanno realizzato alcuni degli impianti a più basso prezzo, perché hanno non solo grande disponibilità di sole, ma anche di superfici che economicamente non valgono molto. Infatti un conto è destinare al fotovoltaico un ettaro di terreno agricolo, un altro un ettaro di deserto il cui valore – ovviamente economico, diverso il discorso dal punto di vista naturalistico – è bassissimo.
Poi ovviamente se hai a disposizione un’altra fonte energetica, le valutazioni sono diverse.
E se non ci sono altre fonti? Penso ai cosiddetti Paesi in via di sviluppo: il solare per loro potrebbe essere un’opportunità?
Sì, soprattutto nei contesti rurali.
Eppure una delle critiche mosse ai movimenti ecologisti è che la lotta al riscaldamento globale sarebbe un privilegio dei Paesi ricchi.
Su questo, sempre per mettere le cose nel giusto contesto, è secondo me interessante che i movimenti giovanili sorti nell’ultimo periodo abbiano messo al centro delle loro rivendicazioni proprio la giustizia climatica, affrontando le disparità sia tra Paesi sia all’interno dei Paesi.
Per quanto riguarda la tecnologia, soprattutto nei Paesi dove non c’è una rete elettrica nazionale, le installazioni fotovoltaiche sono molto più convenienti delle alternative. Si tratta ovviamente di soluzioni indipendenti, con un pannello e una batteria. Si assiste a quello che in inglese si chiama “leapfrog”, il gioco della cavallina: non si ripercorre la storia della tecnologia ma si “salta” una fase. Ad esempio per la telefonia si va direttamente ai cellulari, saltando la rete di telefonia fissa.
In questa transizione energetica, che ruolo può avere il nucleare? A fronte di problemi di scorie e di sicurezza, azzeriamo le emissioni di anidride carbonica.
Non mi sono mai occupato direttamente del tema, per cui non posso fare altro che guardare alle ricerche pubblicate e ci sono stime molto variabili. Perché le “emissioni zero” non esistono, per nessuna tecnologia, dal momento che occorre considerare anche le emissioni per la costruzione dell’impianto – il che vale ovviamente anche per il fotovoltaico. Ma dai lavori scientifici che ho letto mi pare ci siano stime molto diverse sul nucleare, il che fa pensare a dei ‘bias’, dei preconcetti dei vari ricercatori.
In Europa, vediamo che ci sono Paesi, tra cui Germania e Svizzera, dove la tecnologia nucleare è stata utilizzata e che hanno intrapreso dei percorsi di smantellamento totale; altri come la Francia non sembrano invece avere questa intenzione. E in generale i nuovi impianti vanno tutti incontro a enormi difficoltà, sia per i tempi di realizzazione sia per i costi. In Inghilterra è in corso la realizzazione di una centrale Epr, tecnologia che avremmo usato anche in Italia non ci fosse stato il referendum, e il prezzo dell’elettricità garantito per il nuovo impianto è il doppio di quello dell’eolico in mare. Siamo al paradosso per cui in questo momento nel Regno Unito è maggiormente sussidiato il nucleare che l’eolico. Nel mondo, ci sono Paesi come Cina, Corea del Sud e Russia dove c’è un certo sviluppo, ma negli ultimi trent’anni la potenza complessiva del nucleare è stazionaria, mentre eolico e solare sono aumentati moltissimo.
Tornando alla domanda iniziale, il solare come tecnologia è quindi pronto?
Sì, anche se rimangono delle questioni aperte.
La prima è la dimensione attuale dei nostri consumi energetici: abbiamo, parlo ovviamente dei Paesi industrializzati, dei consumi pro-capite insostenibili. Non a caso le strategie energetiche di molti Paesi prevedono importanti riduzioni: per la Svizzera si parla di due terzi entro metà secolo.
Secondo tema: il solare e l’eolico sono fonti intermittenti. Si stanno facendo significativi progressi nella previsione a breve periodo: siamo diventati molto bravi a dire quale sarà la produzione di fotovoltaico ed eolico del giorno successivo, ma non possiamo controllarla, non possiamo accendere e spegnere il sole o il vento. Questo impone l’introduzione di accumuli, di mezzi per immagazzinare l’energia quando la produzione non coincide con il consumo. Su questo tema siamo agli inizi: abbiamo le batterie al litio che hanno un ruolo molto importante, soprattutto per la mobilità elettrica, ma non si prestano per accumuli stagionali, per produrre energia in estate e usarla in inverno, per cui si sta iniziando a investire sulla produzione di idrogeno. Ma è un tema aperto, quello degli accumuli: serviranno investimenti e sviluppo tecnologico.
Insomma, non bastano i pannelli.
Bisogna cambiare il sistema, perché il sistema che abbiamo si è sviluppato in base alle caratteristiche delle fonti fossili. Non possiamo pensare di mantenere lo stesso sistema con nuove fonti.
Andiamo verso un futuro di produzione energetica distribuita sul territorio.
E questo probabilmente porterà a un ridisegno delle nostre città, delle nostre abitudini e anche dei flussi di merci. Sarà una società che si ridisegna intorno a delle risorse che saranno diverse dal passato. Senza necessariamente perdere in qualità, anche se in quantità andremo a ridurre i consumi.