Esegue ‘Tomorrow’ sul palco dell'Ariston, due anni dopo la diagnosi del mieloma. Le mani non ‘viaggiano’ come dovrebbero, ma è il minore dei mali
“Quando non c'è più certezza del futuro, bisogna vivere più intensamente il presente. È come se avessi strappato alla mia fine una manciata di anni e voglio viverli più intensamente possibile”. Parole di Giovanni Allevi nel pomeriggio sanremese, a poche ore dal ritorno sul palco dell'Ariston e dal ritorno alla musica dal vivo. Nel Roof, il pianista parla del mieloma che l’ha colpito, “una neoplasia cronica, una battaglia che non si vince mai. La mia presenza qui vuole significare la gioia immensa di vivere il presente. Se nei mesi scorsi mi avessero detto che sarei stato qui oggi a suonare, non ci avrei mai creduto”. In sala gli fanno il nome di BigMama, giovane cantante in gara che ha sconfitto un linfoma e ha parlato di lui come di un esempio. Allevi la ringrazia: “La malattia e la sofferenza hanno rappresentato per me l'occasione di scoprire una nuova visione del mondo e delle cose”.
A seconda serata inoltrata, due anni dopo la terapia senza toccare un pianoforte (“Ma non è mai stato un problema, ho composto musica nella mia testa”), Allevi raccoglie l'applauso del teatro, prima di un'esibizione che inaugura un tour pianoforte solo, ma non prima dell’autunno, una serie di concerti collocati in tappe vicine e soprattutto distanziate, per evitare ogni tipo di stress. In scaletta ci saranno i grandi successi, “non perché io voglia suonare soltanto i brani più famosi – specifica – ma solo perché i grandi successi sono ancora nelle mie mani”.
“All'improvviso mi è crollato tutto”, dirà Allevi poche ore più tardi, tornando ai giorni in cui la malattia fu diagnosticata. “Alla Konzerthaus di Vienna, in occasione del mio ultimo concerto, il dolore alla schiena era talmente forte che sull'applauso finale non riuscivo ad alzarmi dallo sgabello”. Non sapeva di essere malato: “Poi è arrivata la diagnosi, pesantissima”. Le conseguenze: “Ho perso molto: il mio lavoro, i miei capelli, le mie certezze, ma non la speranza e la voglia di immaginare. Era come se il dolore mi porgesse degli inaspettati doni”. Quello di rendersi conto di essere felice anche suonando davanti a 15 persone, per esempio, che è quanto gli accadeva agli inizi, prima che la notorietà, al contrario, lo portasse a notare il singolo posto vuoto in un teatro pressoché esaurito. Ringrazia “la bellezza del Creato” e “i medici, gli infermieri e il personale ospedaliero, per la ricerca scientifica senza la quale non sarei qui a parlarvi”, ringrazia la famiglia per il sostegno ricevuto e gli altri pazienti, per la forza che riceve da loro. L’ultimo dono: “Quando tutto crolla e resta in piedi solo l'essenziale, il giudizio che riceviamo dall'esterno non conta più. Io sono quel che sono, noi siamo quel che siamo”. Via il cappello e la chioma che va sempre più verso il bianco esplode: "Per dare forza a tutti – conclude – suonerò. Ma attenzione: ho due vertebre fratturate, e tremore e formicolio alle dita. Non posso contare sul mio corpo, ma suonerò con l'anima".
È il momento di ‘Tomorrow’, da intendersi come auspicio, quello che “domani ci sia sempre ad attenderci un giorno più bello”. Le mani non ‘viaggiano’ come dovrebbero, ma questo pare il minore dei mali.